L’Under Fest più che un festival è una famiglia

pietro-mantovani
Tempo di lettura: 4' min
9 May 2019
Festival, Review 4 U
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Siamo stati al festival hip hop di Ravenna e abbiamo fatto alcune domande agli organizzatori, ecco il nostro resoconto

Under Fest di Ravenna è ormai un appuntamento fisso per gli appassionati dell’hip hop underground. Tre giorni di festival in cui si riuniscono artisti, giornalisti, esperti e guru delle quattro discipline per discutere, confrontarsi e condividere buona musica. È passato qualche giorno ormai dalla sesta edizione di Under Fest, è vero, ma è bastata una serata passata sotto al palco per spingermi a cercare di raggiungere Moder, rapper, fondatore e direttore artistico del festival per fargli qualche domanda.

Arrivo al Bronson di Ravenna che sono già le 22 passate di venerdì sera, serata in cui, oltre ai molti ospiti, sono previsti i primi big guest d’oltreoceano del Festival: Apollo Bown & Rapper Big Pooh. La folla è radunata sotto al palco, qualcuno fuma fuori, altri improvvisano un freestyle nel cortile. Moder e Kenzie introducono e incitano la folla.

Gionni Gioielli

Purtroppo non faccio in tempo a partecipare alla presentazione del libro del pomeriggio e riesco a vedere giusto qualche minuto del cypher della serata con Armata del Tronto ADT, FILE TOY (Sun Bitch), Reiven, Limon Willis e DJ DIMA. In compenso, mi godo i live di Lil Pin e Gionni Gioielli, il duo dell’Anonima Sequestri con le loro strumentali à la Griselda Rec.

Vedo Johnny Marsiglia che tiene il palco come un animale e canta con precisione e carica. Mi becco quella che sembra essere un’improvvisata: Next One, storico rappresentante della cultura hip hop italiana, pioniere del breaking e del djing, che sale sul palco seguito da Apollo Brown per una collaborazione estemporanea ai piatti.

Johnny Marsiglia

Apollo Brown è serio e corpulento, suona qualche beat muovendo la testa a tempo mentre segue i suoni con il labiale, precisissimo. Alla fine arriva anche Rapper Big Pooh“È il mio secondo live dopo 10 anni, non sono molto in forma”, ci tiene a precisare dopo un paio di pezzi. Il live è difficile ma il dialogo con il pubblico funziona, nonostante l’ostacolo della lingua. I beat spaccano e Big Pooh ce la mette tutta.

In un panorama in cui il mercato dei concerti è diventato un business, in cui durante i live devi schivare gli schermi degli smartphone per creare una connessione della durata di due gin tonic con l’artista di turno, Under Fest fa uno strano effetto. Al Bronson il pubblico fa parte della scena. Non c’è grande differenza tra chi sta sul palco e chi sotto, è una comunità che si incontra per condividere una passione e fare festa.

Apollo Brown e Next One

Ho chiesto a Moder com’è nato Under Fest e come è cambiato negli anni. Ecco le sue risposte.

Com’è andato Under Fest 6?

Direi molto bene, ovviamente per noi molto faticoso ma il bilancio è più che positivo, ora se mai tocca interrogarsi sulle meraviglie viste quest’anno e provare a rilanciare ulteriormente: un festival fermo muore.

Come è nata l’idea di un festival hip hop underground a Ravenna?

Nella maniera più naturale possibile: io e Brain in una data insieme visibilmente ubriachi pensammo a questo format e pensare di portare in provincia (ai tempi l’Under si faceva al CISIM, il centro culturale che gestisco insieme a Federica e Massimiliano) un non-luogo artistico come l’underground italiano era perfetto. In quegli anni esisteva una sorta di movimento che si stava prendendo spazio, noi siamo riusciti a dare voce a una parte di quel movimento e a creare una famiglia attorno ad un’idea folle.

Avete notato dei cambiamenti negli anni, in particolare per quanto riguarda il pubblico di Under Fest?

In realtà è il rap e le modalità di approccio degli artisti ad essere cambiato, il pubblico è fatto di ragazze e ragazzi che hanno un amore folle verso questa cosa qui. Ci sono ragazzi che vengono dalla prima edizione, e giovanissimi arrivano e si flashano per i live “Pass the mic” (caratteristica principale e più amata di Under). Invece il panorama tra booking, agenti o presunti tali è cambiato e chiunque prova a costruire un team inesperto che non fa quasi mai il bene dell’artista.

Capisco il tentativo di portare la propria arte a livello professionale ma credo che la scena abbia bisogno di un lungo bagno di realtà che purtroppo sul versante live sta arrivando e non farà sconti. Per fortuna Under mi ha dimostrato che esistono ancora artisti che possono insieme costruire cose grandi e ringrazio ogni partecipante, sarò sempre in debito. Tocca non dimenticarsi di provare a costruire spazi nuovi perché altrimenti a breve sarà durissima.

In un momento di massima visibilità social e di grande attenzione mediatica verso il rap, pensi che l’underground abbia ancora spazio per generare nuovi talenti?

Certo come lo ha sempre fatto, alle prime edizioni di Under avevamo Peyote, Claver, Murubutu gente che poi in qualche modo è esplosa e molti altri che suonano stabilmente in giro per l’Italia. Resta il fatto che Underground non è altro che una questione di esposizione, almeno per me, entrare in conflitto con realtà mainstream non è mai stato il senso del festival, se mai: “Regaz visto quanto valiamo tutti insieme?”, un pò per noi un pò per chi ha bisogno dei numeroni per valutare un progetto artistico (e mi permetto di dire spesso anche i giornalisti fanno quest’errore).

 

Words: Pietro Mantovani
Photo: Marco Baldini Ph. (Courtesy of Under Fest)

 

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