No Geography è il ritorno del duo elettronico per eccellenza, ed è una ennesima conferma

Aspettavo con trepidazione mista ad un pò di paura il nuovo album dei Chemical Brothers. Perchè ad essere sincero Born In The Echoes, la loro ultima fatica discografica prima di questo No Geography, mi aveva lasciato un po’ perplesso. Nonostante ci fossero spunti interessanti, avevo notato un po’ un’uscita di strada da parte di Ed e Tom, un ammiccamento ad una techno sperimentale un po’ modaiola quattro anni fa, un sound un po’ distante dalla loro pure origini.

I singoli usciti in questi mesi però mi facevano ben sperare, ed ecco che mentre sganascio un panino con la porchetta, spingo play sul disco. La prima cosa che sento è la voce distorta che ripete Eve Of Destruction, titolo della traccia d’apertura che subito mi fa deglutire i bocconi in maniera convulsa. Già si percepisce a cosa stiamo andando incontro, una sberla di suoni coi controcazzi che ti ribaltano a 20 anni fa, ai tempi di Dig Your Own Hole (quindi, per essere precisi, 22 anni fa). Con una struttura di synth che forse va ancora più indietro nel tempo, ma che sembra più che attuale, quasi futuro, groove di basso roteante, break assurdi e via andare. Sono già impazzito, ho le convulsioni.

La sorpresa è che mi si mixa Bongo e manco me ne accorgo, ennesimo delirio sonoro che non poteva che venir fuori da nessun altro se non da questi due maestri. C’è quasi sicuramente un campione degli Incredible Bongo Band che sostiene questi quattro minuti in cui vorresti strapparti i vestiti e rotolarti per terra come un folle in preda a visioni mistiche. Alzo il volume a cannone, ed ecco che le atmosfere si distendono ed arriva la traccia che dà il titolo all’intero album, No Geography. Vengo così travolto da quel riff di suoni che è diventato un po’ marchio di fabbrica del duo, mentre una voce mi dice qualcosa di importante, mi lascia un monito per il futuro.

(continua sotto)

chemical brothers no geography

Pausa, e mi riascolto volentieri Got To Keep On, che da quando è uscita ormai qualche mese fa ogni volta che la riascolto mi prende sempre di più. Siamo a metà, è il momento di Gravity Drops, una traccia che mi ricorda un po’ qualcosa del già citato Born In The Echoes, una sorta di esercizio di stile, gradevole ma forse il punto più basso di questo nuovo album. Ma ecco che i due ci attaccano The Universe Sent Me, un turbinio di introspezione che mi ricorda un po’ The Test, un po’ i Röyksopp in acido, un po’ Trentemøller che lecca la fronte ai Röyksopp e via discorrendo. Insomma probabilmente abbiamo raggiunto l’apice dell’album, e forse la mia digestione è compromessa.

Rientriamo volentieri nel mood dinoccolato di We’ve Got To Try, con quel beat assai contemporaneo, quel synth maledetto che mannaggia a voi due da dove lo tirate fuori, e quella vocina un po’ Jackson 5 che ti scardina ogni punto di riferimento e lo dà in pasto alle sinapsi dell’altro ieri. Seguono poi altre due tracce conosciute, Free Yourself che è forse la traccia più strettamente “chemical” di No Geography. Quella traccia che in ogni loro album non può mai mancare, un pò marchio di fabbrica, un po’ marchetta. Il passaggio con MAH è una roba distopica, tribale e oscura. Il costo del disco vale solo per come sono riusciti a mescolare queste due tracce (e già mi immagino visual pazzeschi durante un loro live… ah già, i due fratelli chimici al momento non hanno date in Italia).

(continua sotto)

chemical brothers no geography

La fine è siglata da Catch Me I’m Falling. Che è quel brano lento, che solitamente sancisce la fine di quasi tutti i loro album o almeno la maggior parte. Bellissimo ed etereo viaggione, la voce femminile di non so chi ti culla appoggiandosi su un ipnotico giro di di suoni elettronici, fino ad un’apertura quasi gospel ed una cassa morbida ci accompagna tutti a letto.

Sarà l’eccitazione, sarà che sono sempre stato un grande loro fan, che la musica elettronica in tutte le sue accezioni l’ho scoperta grazie a loro. Sarà che forse la porchetta che avevo nel panino era scaduta da qualche giorno, ma per me questo è un gran album. Quello che continua a sorprendermi di questi due è che arrivati ormai al loro nono album, riescano ad essere estremamente innovativi mantenendo il loro tipico sound, alterando e riformulando quegli stilemi che li hanno portati ad essere quello che sono, creando sempre qualcosa di fottutamente attuale. Qualcosa che senza troppi giri di parole, caga in testa a gran parte della musica contemporanea.

Insomma, recensione finita, panino alla porchetta finito. No Geography finito. E io me lo riascolto, e me lo riascolto, e me lo riascolto…

Paogo Ameschi

chemical brothers no geography