LOST Music Festival: una guida per chi se l’è perso

elena-bertelli
Tempo di lettura: 5' min
4 July 2023
Festival, Gallery, Review 4 U
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Vi raccontiamo di un’esplorazione durata 3 giorni tra musica, installazioni e performance.

 

LOST è il festival ambientato all’interno del labirinto più grande del mondo, il Labirinto della Masone: 32 artisti provenienti da 17 paesi, 200.000 piante di bambù, 4 stage, un museo e un’oasi nel bosco. Un’avventura iniziata nel 2019, che ha visto una battuta di arresto dovuta alla pandemia globale e ripresa alla grande nel 2022.

LOST è un luogo di sogno, immerso nell’ombra e nel profumo delle canne di bambù. Ambiente perfetto per sperimentare la gioia di perdersi, lasciandosi alle spalle per due giorni e tre notti, tutto ciò che conosciamo, di cui siamo responsabili, o che il mondo si aspetta da noi.

LOST è un programma eclettico ma studiato alla perfezione per condurre il visitatore in un percorso di esperienze e incontri memorabili. E così, fidandoci del nostro istinto e delle scelte della direzione artistica, ci siamo lasciati guidare dai suoni del labirinto, per trovare quell’intimità e raccoglimento che pochi festival oggi possono ancora garantire.

Il nostro viaggio inizia giovedì sera, schivando gli acquazzoni estivi, ai piedi del Pyramid stage, l’unico a configurarsi come un palco in senso letterale. Ha tutte le carte in regola per garantire quel raccoglimento attorno agli artisti (niente pit, niente transenne!), sentire perfettamente e nitidamente i suoni in ogni angolo dell’area e, allo stesso tempo, consentire l’immersione nei visual durante i live A/V.

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Qui, in tre giorni si è succeduta una caleidoscopica varietà di live performance che, dalla prima sera, suggerisce già quello che sarà il mood di tutto il festival: eclettismo, delicatezza, grida e sussurri, luci e tenebre, il canto etereo di Lucinda Chua, e il noise scuro e sperimentale di Heith accompagnato da Jacopo Battaglia (batterista degli ZU), dal polistrumentista Leonardo Rubboli e dalle visioni post apocalittiche dei visual curati dallo studio di progettazione ambientale DECLINO.

E poi l’incredibile voce di Hatis Noit, strumento attorno al quale l’artista giapponese costruisce l’intero live. Fa eccezione il brano che dedica al disastro di Fukushima – ancora terribilmente attuale, data la decisione di questi giorni di sversare le acque di raffreddamento degli impianti nell’oceano -, dove sono le registrazioni dei suoni del mare a fare da base ritmica al canto a tratti lirico.

Se qui siamo arrivati a toccare la volta celeste, in quello che ormai riconosciamo essere lo stile pieno di contrasti e sali-scendi del festival, ci pensa poi Aïsha Devi a prenderci a pugni, a pestare i piedi per oltre un’ora di ritmi martellanti tenuti insieme dal suo canto potentissimo e la sua fisicità di fasce di muscoli agili e forti.

Solo al pomeriggio di venerdì, con l’inaugurazione della parte giornaliera del festival, ci siamo addentrati nel dedalo di sentieri, seguendo la voce cristallina e il tappeto di sonoro intessuto da ML Buch, un vero incanto, anche se ascoltato da lontano, perché il pubblico arrivato al festival era già numeroso allo stage Bamboo 2, dove a seguire avrebbe risuonato anche il timbro inconfondibile di Lyra Pramuk.

Inoltrandosi ancora più verso il limitare del labirinto, si raggiunge lo stage Bamboo 1, seguendo il  ritmo della fusione culturale di due portatori di tradizioni musicali e innovatori come Abadir e Hogir, eccoci trasportati dentro un mondo intero di sonorità, ricreato nella piccola radura con il solo utilizzo di un pc, un darabouka e un tambourine.

Una festa che ha richiamato tutti a raccolta, fino a stringerci nel caldo tropicale e proiettati nel flow energico e liberatorio di Gabber Modus Operandi. Ma è stato nel rito di Victoria Palacios e Loto Retina, il duo belga Alto fuero, che ci siamo persi totalmente: in canti fatti di poche frasi in francese e tante altre sconosciute, tra melodie di flauti e battiti incalzanti e percussivi.

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Come ormai avrete capito LOST è un Festival che richiede una certa predisposizione all’ascolto (mai passivo) ma in cui l’alternanza di momenti di introspezione, o riflessione collettiva, e sessioni di danza scatenata e liberatoria è costante e perfettamente equilibrata.

Ne sono stati la prova il susseguirsi, senza soluzione di continuità, nella giornata di domenica, di 3 dei nostri act preferiti di questa edizione: il dj set di Dj Python che nell’afa del primo pomeriggio ha ricreato un ambiente sonoro acido e vibrante in un crescendo ossessivo di bpm. Tralasciando il microclima, il microcosmo era perfetto: una massa di corpi riunita in una danza corale stretta attorno alla console, esplosa nel momento di un arditissimo remix di Con te partirò, di cui alcuni si staranno ancora chiedendo il perchè (una non velata allusione al viaggio in cui ci stava accompagnando?).

Subito dopo, tutti seduti (alcuni stesi) all’ombra della performance di Voice Actor: intima, quasi sconfinante nella spoken word, sussurrata e nascosta dietro un velo di tessuto: così da restare per noi un affascinante mistero. E poi, ancora un cambio repentino e velocissimo dentro al set di Objekt, due ore che le nostre orecchie avrebbero voluto non finissero mai, mentre le nostre gambe chiedevano pietà: una crasi perfetta tra capacità di comprendere il contesto e rafforzarne l’identità con percussioni e melodie tribali, atmosfere psichedeliche, e una tecnica impressionante nel mixare e muoversi in cambi di direzione perfettamente calibrati, mai scontati o sgarbati.

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Dentro ai Bamboo stage, realizzati all’interno del labirinto abbiamo sperimentato lo stretto contatto tra tutti i partecipanti al rito collettivo, artistə compresə, grazie alla caduta di tutte le barriere, con esito di felice appagamento dei sensi. Invece, al cospetto del Gate stage, la separazione dei ruoli tra selector e dancefloor, l’ordine canonico, appaiono inizialmente ristabiliti.

Questo potrebbe essere vero se fosse possibile parlare di ordine. Ma, fin dal primo dj set, quello dei Giant Swan, non certo noti per il loro aplomb, risulta chiarissimo che qui nessuno riuscirà o sarà chiamato a stare al proprio posto. Robin Stewart e Harry Wright, senza troppi convenevoli, infuocano l’atmosfera con una frenesia che porta la techno fuori dai propri confini, non riuscendo nemmeno loro a restare fermi e mai composti nella bellissima gabbia di ferro, realizzata dall’artista Anelo 1997. Non è da meno, nella notte di sabato, Slim Soledad, che con tanto carisma, anche se a nostro avviso con un set meno convincente, riesce abilmente a scaldare i muscoli, preparando il terreno per quello che sarà un dj set che ricorderemo negli anni a venire.

Stiamo naturalmente parlando di Gabber Eleganza che definiamo senza timore il maestro indiscusso del genere di cui si fa profeta nel mondo. Due ore di perle hardcore, pescate dal suo sconfinato archivio, mixate con la bravura del professore che ognuno di noi vorrebbe aver avuto in cattedra. Ma sempre troppo presto arriva arriva quello che deve arrivare e, anche se le cose da dire sarebbero ancora molte, siamo alla fine di questo nostro racconto dall’edizione appena terminata di LOST.

E ci spiace se abbiamo dato l’impressione di perderci in alcune digressioni ma, proprio in questi tre giorni, abbiamo imparato a non temere smarrimenti, che non ci si perde mai. Se chi fa un festival ha come obiettivo quello di creare comunità, ci sono le mani dei compagni di viaggio da afferrare e i suoni che si fanno strada tra le foglie di bambù, a guidarti alla prossima esperienza.

 

Bonus track

Due cose organizzative che abbiamo particolarmente apprezzato: la presenza di fontanelle d’acqua potabile sempre a disposizione e (essendo LOST dislocato a una certa distanza da centri abitati) la presenza nell’area food di uno stand di cibi sani e pensati anche per persone vegane o intolleranti al glutine.

 

Ghost track

Se eravate anche voi a LOST quest’anno, sarebbe carino se compilaste questa Survey, pensata dall’organizzazione per sapere come vi è andata l’esperienza e avere spunti di miglioramento.

 

Foto di Riccardo Giori

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