I HATE MY VILLAGE E ANCHE QUELLO DI FIANCO, SALITE SUL PALCO CHE CI BALLIAMO SU
La cosa bella di quando sei un musicista di quelli che sanno cosa stanno facendo e lo fai da un po’, tipo dagli anni ‘90, è che puoi salire su un palco con leggerezza, con una sigaretta in bocca e creare dal nulla una situazione intima e di ascolto, senza dover chiedere di spegnere i cellulari. Proprio come I Hate My Village nell’ultima data di agosto di acieloaperto.
I cavalieri dell’apocalisse di stasera a Villa Torlonia salgono e prendono posto sul palco dopo un pezzo dei Residence che preannuncia tanto di questo concerto. Il “supergruppo” (cit. Wikipedia) si è formato nel 2018 dall’incontro tra Adriano Viterbini (Bud Spencer Blues Explosion) e Fabio Rondanini (Afterhours) al basso troviamo Marco Fasolo (Jennifer Gentle) e alla voce Alberto Ferrari (Verdena).
L’energia è quella di una sala prove, senza gli errori tecnici e l’1,2,3 di partenza, ma con i virtuosismi di chitarra, assoli e spazi riservati ad ogni strumento per emergere e dire la sua. Le facce compiaciute sul palco e fuori dal palco ci portano in un nostalgico flashback a headbanding e air guiar facendoci venire una voglia di ballare che riusciamo a trattenere, finchè Alberto non chiama i fan sul palco perchè: “C’è spazio, venite pure, salite! ”.
Un gruppetto di fan (e la sottoscritta) sale sul palco in mezzo al tripudio di suoni, luci e fumo, un pò della macchina un pò delle paglie. Uno sfogo collettivo, pieno di distorsioni e colpi secchi. La sezione ritmica che fa da supporto a chitarre virtuose e voce delaaaay di Alberto, si sente tremare bene ora che siamo sulle stesse assi di legno.
(continua sotto)
Tornati nel pubblico ormai l’energia c’è, e l’ala sinistra è quella che tiene il tempo e balla finchè ne ha, mentre sul palco i chitarristi vanno in ginocchio su assoli e distorsioni.
Ci chiediamo un pò cosa si intenda quando si definisce questo gruppo ‘afrobeat’ perchè di questo genere c’è poco, un richiamo nei ritmi sincopati, nella scelta e accostamento dei suoni, ma ci sembra forzato. Piuttosto oseremmo dire progressive rock, con influenze chiare dei componenti e del loro background. Chiaro e distintivo l’uso della voce e le atmosfere che vengono richiamate dal componente dei Verdena, quello strascico emotivo che ha influenzato gran parte delle nostre turbe adolescenziali.
“Tutti su le mani dai, non facciamo storie dai” è il coro che parte dal palco e il pubblico segue con applauso a tempo. Che sia una richiesta che allude al lasciare in tasca il cellulare e smettere di fare stories per applaudire beatamente? Chi lo sa, forse ci stiamo facendo un bel trip. Il tiro è buono e seguiamo fino alla fine del loop e all’accensione delle luci.
Prossimo appuntamento di acieloaperto:
giovedì 9 settembre: [Manu Chao Acústico] El Chapulín Solo / (SOLD OUT)
Foto e testo di Elsa Flatform
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