Il “concerto capolavoro” dei Massive Attack per i 21 anni di Mezzanine

polpetta
Tempo di lettura: 5' min
14 February 2019
Review 4 U
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È sabato sera, e a Padova, all’interno del Palasport San Lazzaro – ora conosciuto col nome di Kioene Arena – si esibiscono i Massive Attack

Il concerto è sold out è la cosa non è sorprendente. Il collettivo di Bristol, infatti, propone uno show speciale per festeggiare i 21 anni di Mezzanine, terzo album nonchè conclamato capolavoro dei Massive Attack.

Parto subito col dire che, al cospetto di un concerto favoloso, come ci si aspetta e come sarà effettivamente, l’organizzazione è pessima. E con una serie di disagi che solo in Italia si possono riscontrare.

Prima cosa su tutte: l’assenza di un guardaroba dentro al palazzetto e il divieto di portare all’interno zaini o borse. Questo costringe gli spettatori del parterre – se non vogliono fare i vermi e soffrire il caldo – a mettere zaini e cappotti in un guardaroba esterno (a caro prezzo), neppure troppo vicino all’entrata. E a soffrire successivamente il freddo per l’attesa di entrare (attesa ovviamente lunga per una serie di controlli con perquisizione e metal detector), e poi di nuovo all’uscita, sudati e accaldati. Cose inimmaginabili in qualsiasi grande festival estivo europeo in cui ci si può tranquillamente portare uno zaino per metterci dentro felpa o maglione durante il live o dissetarsi con una bottiglietta d’acqua.

Quanto al posto è veramente brutto esteticamente. Uno spazio quadrato che può andare bene per vedere le partite di pallavolo, ma è totalmente inadatto ad un concerto di questo calibro. Molti spettatori presenti in tribuna laterale non credo possano vedere nulla, né i musicisti sul palco, né gli spettacolari e impattanti visual in programma.

Infine, una presentazione degna della sagra della porchetta, con uno speaker che parla come Gerry Scotti. Mancando il gruppo spalla ci si può aspettare un dj-set a tema o almeno una selection capace di scaldare un po’ il pubblico invece parte una playlist con Britney Spears, Cher, Aerosmith e Madonna ripetuta per due volte con una pessima qualità audio. In cuor mio spero che sia una scaletta scelta dalla band e volutamente squallida per ricordarci la musica commerciale che si ascoltava nel mondo 20 anni fa.

Le premesse non sono delle migliori quindi, ma fortunatamente quando in perfetto orario salgono sul palco i Massive Attack, il fastidio lascia spazio a una sensazione di grande piacere.

(continua sotto)

massive attack padova mezzanine

(foto di Natascia Torres)

 

Dopo un inizio noise e dissonante capace di aprire un varco spaziotemporale, i Massive Attack eseguono una dolcissima cover di “I found a reason” dei Velvet Underground e poi l’attesissima “Risingson” con Daddy G (Grant Marshall) a duettare con 3D (Robert Del Naja, leader e deus ex machina). Il live prevede una formula che mescola le canzoni contenute in “Mezzanine” (tutte quante e in ordine sparso) a cover di canzoni campionate nell’album.

La cover successiva è “10:15 Saturday Night” dei Cure in una versione ska-punk capace di smuovere (ma non troppo) il pubblico dall’età media molto elevata. Ma il primo momento veramente estatico del concerto avviene verso la fine, quando la canzone rallenta progressivamente e si trasforma con un coup de théatre in “Man Next Door”. Horace Andy sale sul palco con la solita andatura ciondolante e inizia a cantare nel suo modo inconfondibile. La folla comincia a ondeggiare cullata dalle note. Ma è la comparsa sul palco di Elizabeth Fraser nella successiva, stupenda, “Black Milk”, a provocare brividi ben più grandi, con 3D e Daddy G in seconda fila, rispettivamente alla tastiera e agli effetti elettronici.

Le esecuzioni sono perfette. L’audio è ottimo. I visual che, durante le cover, ci inondano di immagini grottesche e contrastanti, risalenti a vent’anni fa, lasciano spazio alle ben note scritte a caratteri cubitali, per l’occasione tradotte molto spesso in italiano, a fare da guida nel percorso del live. Questo intermezzo avvolgente e rilassante si chiude con “Mezzanine”, una canzone bellissima che, tra le tracce originali dell’album, in questa serata non è stata indimenticabile.

Il concerto non si ferma un attimo però ed è tempo di un’altra cover. Una fedele e drittissima “Bela Lugosi’s Dead” dei Bauhaus cantata da un 3D capace di non far rimpiangere Peter Murphy.

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massive attack padova mezzanine

(foto di Natascia Torres)

 

A seguire un altro momento fantastico (e inaspettato): un’esecuzione strumentale di “Exchange”, canzone che non veniva proposta da vent’anni, con un notevole assolo di contrabbasso. Il chill-out rasserena gli animi, piuttosto inquietati dal tono del concerto. E il momento soft prosegue con il reggae di Horace Andy che canta la sua “See a man’s face”.

Poi arriva “Dissolved Girl” con la voce pre-registrata dell’assente Sarah Jay. Le chitarre distorte del finale lasciano posto alla pace quando Elizabeth Fraser torna sul palco per cantare una delle più belle canzoni contro la guerra: “Where Have all the flowers gone?” di Pete Seeger. Mentre la voce di questa adorabile signora ti commuove, i visual non lasciano scampo, mostrando immagini durissime di cadaveri e mutilazioni. Impossibile restare indifferenti.

Gli scroscianti applausi del pubblico diventano boati quando partono le prime note di “Inertia Creeps”. Del Naja ci regala una delle sue migliori interpretazioni. È padrone dell’intero palco, padrone delle nostre menti, portatore di cultura e conoscenza e artefice di uno spettacolo che ci incanta e ci fa riflettere. L’assolo di chitarra campionato in “Inertia Creeps” è contenuto originariamente nell’energica e rapida “Rockwrok” degli Ultravox che viene infatti eseguita subito dopo.

Lo show prosegue senza interruzioni fino alle canzoni più attese un po’ da tutti: “Angel” con il ritorno sul palco di un impeccabile Horace Andy, che sembra non invecchiare mai. E poi ovviamente “Teardrop”. Su questa mi dilungo sempre. Siamo tutti d’accordo che è una delle canzoni più belle della storia. I pochi del parterre che sollevano gli insopportabili smartphone vengono fischiati e zittiti. Dovrebbe esserci il silenzio e la quiete assoluta quando Elizabeth Fraser canta “Teardrop” (come succede quando Thom Yorke canta “Exit Music”) e invece purtroppo c’è qualcuno che non si accontenta di conservare dentro di sé questo ricordo indelebile ma vuole avere una prova tangibile (che si sentirà malissimo) senza nessun rispetto per le persone che ha accanto. Polemiche a parte, l’esibizione rasenta la perfezione, sicuramente la versone più fedele e commovente che ho sentito negli anni.

Del Naja poi torna sul palco con un ghigno beffardo battendo le mani al ritmo di “Levels” di Avicii. Una cover di cui, sinceramente, non si sentiva il bisogno. Gli spettatori battono le mani anche loro come pecore che seguono il pastore d’anime. Forse è l’unica interazione della band con il pubblico, ma sembra quasi una presa in giro, come per dire “Ehi? Avete visto come siete rimbambiti?” Fortunatamente il becero tunz tunz si blocca all’improvviso e comincia “Group Four”. E quando pensavi che il meglio fosse già passato ti devi ricredere.

Elizabeth Fraser torna sul palco per duettare con un sempre più esaltato 3D e sono deci minuti divini. La canzone perfetta per chiudere “Mezzanine”, la canzone perfetta per chiudere la scaletta di questo tour. Il finale rallenta e si trascina e quando l’ultima nota di questa gigantesca suite si accascia come Godzilla colpito da migliaia di proiettili, compare un messaggio: “Siamo intrappolati in un loop perenne. È tempo di lasciarci dietro i fantasmi e iniziare a costruire il futuro

Un concerto tutto d’un fiato, senza bis, un’opera a sé stante, l’ultimo capolavoro dei Massive Attack.

 

Words: Andrea Trombetta
Foto di copertina: Natascia Torres

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