Le Contingenze di Vittoria// interview

polpetta
Tempo di lettura: 4' min
19 January 2015
Art, In primo piano, Interviste

Vittoria Cafarella è un’artista emergente ma, nonostante la sua giovane età, ha una sensibilità personale ed artistica davvero sorprendente.
La sua ricerca artistica tende verso l’astrazione e non sempre, a prima vista, è facile intuire quello che cerca di comunicare. Basta avere la volontà di osservare i segni e le parole che con passione ha trasferito sulle sue opere e lasciare che la nostra mente evochi quelle immagini che Vittoria ci vuole trasmettere.
Lei utilizza strumenti semplici, alla portata di chiunque, ma è poi il suo tocco personale a rendere il tutto più magico e sublime, capace di elevare una banale scansione in un’opera d’arte.
Si è da poco conclusa la sua personale chiamata Contingenze, organizzata alla Fondazione Zucchelli e noi l’abbiamo incontrata per cercare di addentrarci nel suo personalissimo modo di vedere e interpretare ciò che la circonda.


Ciao Vittoria, raccontaci com’è nato il progetto Contingenze.

Tutto è cominciato con il concorso indetto dalla Fondazione Zucchelli, dedicato agli studenti dell’Accademia e del Conservatorio di Bologna. Quest’anno ciascun vincitore del concorso ha avuto la possibilità di realizzare una mostra personale all’interno di uno spazio espositivo della Fondazione in Vicolo Malgrado 3d.
Si tratta di una continuazione del progetto grazie al quale ho vinto il concorso, ovvero una serie di lavori in cui lo spazio pittorico è costruito attraverso l’assemblaggio di elementi e forme che per assonanza o contrasto funzionano tra di loro e in cui c’è una precisa relazione tra parola e immagine. Carte, ritagli, frammenti di pittura, oggetti che ho raccolto e messo insieme per costruire una narrazione pittorica che per me rappresenta una contingenza, ovvero l’istante in cui avviene l’incontro degli elementi che tra di loro funzionano. Il termine contingenza mi affascina per la sua doppia personalità, è qualcosa di casuale e di occasionale ma che allo stesso tempo sembra inevitabile.


Si tratta di installazioni site specific?

La volontà era assolutamente quella di lavorare sullo spazio, in pratica c’è stata una serie di limiti…il che per me non è stato un grosso problema, perché in qualsiasi modo nel momento in cui il lavoro viene installato si sta comunque rapportando allo spazio. Pur non lavorando sull’installazione site specific in senso stretto ho comunque lavorato e ragionato su come sarebbe avvenuta la lettura in quello spazio e ho cercato di strutturarlo in modo unitario affinchè le parti fossero in dialogo costante.


Parlami di questo dialogo in contrasto tra le tue opere, di questa ambivalenza – anche dimensionale – sempre presente nella tua mostra.

Sostanzialmente volevo offrire un pezzetto del mio percorso, accostando opere appartenenti a periodi diversi ma che raccontano lo stesso tipo di atteggiamento e di processo che sono diventati la mia modalità espressiva.
I lavori di grande dimensione sono stampe ottenute dalla scansione di materiali provenienti da vari ambiti e contesti che si legano tra loro con un filo poetico costante e continuo, che è quello che mi muove sempre.
I lavori piccoli sono per me dei contrappunti e raccontano effettivamente il modo in cui vengono realizzati quelli grandi; svelano un pochino il processo di ricerca e di assemblaggio degli elementi che vengono poi scansionati e stampati in scale molto estese per esasperare anche i minimi dettagli. I dettagli possono essere assolutamente banali, ma attraverso questa esasperazione diventano pittura, segno, che sono gli elementi fondamentali del mio lavoro.
I pezzi piccoli sono per me molto preziosi e allo stesso tempo sono una chiave di lettura; fino ad ora mi è piaciuto accostarli a quelli grandi, mi è sembrato un modo efficace per offrire un ingresso nel mio ragionamento.


Quello che mi piace molto del tuo lavoro è la contraddizione creata dall’elemento freddo e asettico come lo scanner, utilizzato per raccontare delle storie e toccare dei temi che per te sono molto intimi e privati – come ad esempio “Anatomia del mio senso di colpa” – e dall’elemento caldo finale dato dal tuo intervento pittorico sulla stampa.

C’è in me una grande fascinazione rispetto alla fotografia e al tecnologico. Ma ho scelto lo scanner perché il suo utilizzo è di una semplicità disarmante, il che mi affascina ancor di più, non richiedendo alcuna competenza tecnica è uno strumento che chiunque può utilizzare. Questo rende la sfida ancora più interessante per me, riuscire a tirar fuori una poetica coerente e strutturata utilizzando strumenti assolutamente basici. La riappropriazione dell’opera grazie al mio intervento pittorico finale rientra nella riflessione continua sulla scrittura, sulla pagina come contenitore, sui segni della calligrafia; ma anche un modo per sottolineare la distanza dal bisogno di riprodurre un certo numero di pezzi attraverso la stampa. Il mio scopo è quello di offrire delle diverse chiavi di lettura, far scaturire nuovi punti di vista. I territori che attraverso vanno dal privato al politico alla comunicazione di massa. Accumulo una gran quantità di materiale cartaceo e dipingo in continuazione. Infine seleziono ciò che, di volta in volta, possiede caratteristiche utili al mio scopo e costruisco una riflessione su temi sostanzialmente intimi e privati, spesso con riferimento all’anatomia o alla sessualità.


Grazie Vittoria

Grazie a voi!

 

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