Ellen Allien @ La Terrraza /// Off Week Sònar 2015

polpetta
Tempo di lettura: 3' min
30 June 2015
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Siamo arrivati al Poble Espanyol intorno all’una, io, il mio fotografo, un amico di Barna che ci ospitava e la sua fidanzata. Prima eravamo stati al Mobilee, una festa Off in piscina iniziata alle cinque del pomeriggio piena di Big Jims ipertrofici e Barbie maggiorate. Inutile dirlo, avevo bevuto molte bibite per essere sicuro di uscire incolume da quella casa delle bambole dal sapore così Santa Monica anni novanta.

Lì al Poble Espanyol dovevamo andare a sentire Ellen Allien che suonava alla Terrrazza (no, non è un refuso, si scrive così), avevamo un paio di accrediti (forse, forse uno solo) e potevamo contare su una facilità comunicativa degna di Luca Giurato nel suo prime ad Uno Mattina. Arriviamo al gabbiotto degli accrediti, il fotografo prova a biascicare qualche parola in spagnolo, la ragazza dietro al vetro ci dice che non ha voglia di cercare i nostri nomi nella lista degli accrediti e dopo aver buttato quattro braccialetti davanti a sé ci segnala, a gesti, che possiamo procedere. Il mio amico di Barcellona aveva descritto l’organizzazione del Sonar come “impenetrabile” e “infallibile”, prima che iniziassimo ad andare per party. Beh, quasi impenetrabile.

Arriviamo alla Terrrazza, corpi di ragazzi stesi per terra ci indicano la via.

La prima impressione che ho avuto entrando lì è stata di un club troppo piccolo e troppo pieno, privo dello spazio necessario per tirare fuori il massimo da un’artista come la Allien.
Faceva caldo e bisognava sgomitare per arrivare da qualsiasi parte. Dieci euro la consumazione. Le sole zone libere erano dietro alla consolle, dove la musica non arrivava. L’unica nota positiva, per il momento, era il dj, un tipo tarchiato e anonimo che buttava beat intimisti che si altalenavano tra synth cupi di quelli che vanno tanto di moda ora e fiati squillanti à la
Careless Whisper. Molto adatto alla situazione, Ejeca, così ho poi scoperto chiamarsi l’hobbit che troneggiava sulla sala da dietro ai piatti, è riuscito a catalizzare le energie praticamente assenti di un club poco adatto in una colonna sonora estemporanea, onirica e penetrante.

Dopo di lui è salito in consolle Dj Qu, gioviale paffuto nero parecchio somigliante a Stewie Wonder, che ha letto benissimo il mood creato da Ejeca e ha proseguito il dj-set con sonorità vicine alle precedenti, intrecciando fra loro brevi linee polifoniche e ovattando l’ambiente con lunghi rumori bianchi. La cassa, intanto, continuava a crescere, fino ad arrivare a un kick simil-808 molto pitchato che mi ha ricordato i bei tempi dei soundsytem enormi e delle tribe.

Seduti su un gradino pieno di cucarachas e bicchieri vuoti, ci passa davanti Ellen Allien. “Scusa Ellen, ci concedi una foto per un articolo?” – una persona squisita: ero pieno di ammirazione. Non solo è bella, bellissima se considerate che ha quarantacinque anni, ma l’energia che emana con i suoi modi dolci e noncuranti ha qualcosa che farebbe colpo anche su un eunuco. Si è fermata qualche minuto a parlare con noi, in realtà non ascoltavo quello che diceva, ma piuttosto la guardavo e traevo dalla sua sola presenza informazioni e interrogativi che si sedimentavano dentro di me come motori pronti a scoppiare. Che vita può condurre una persona come lei, famosa a livello mondiale, eppure così semplice nel look e nei movimenti? 

Il resto del suo dj-set l’ho passato a guardarla mentre le domande sorgevano spontanee come germogli infestanti. Mi sentivo meglio, in un certo senso.

Quando ha finito di suonare abbiamo raccattato gli altri due che erano con noi, siamo corsi fuori dal Poble Espanyol prima che l’esodo di massa iniziasse, e rubando il taxi a un gruppetto di inglesi paonazzi siamo sfrecciati a casa, a scrivere questo articolo e poi a dormire. È stato tutto molto bello.

Ah, giusto. Mi sono lasciato trasportare dal sentimento senza toccare però i punti focali della questione. Avrei dovuto, effettivamente, raccontarvi la musica di Ellen. Ma tanto sono certo che chiunque stia leggendo ora questo articolo abbia già sentito suonare questa grande tedeschina almeno cinque volte, alcuni anche dieci, e sappia bene che descrivere a parole le sue performance non servirebbe ad altro che a togliere gusto a un’esperienza che fa dell’immediatezza e dell’ineffabilità le sue carte vincenti.

Sono certo mi capirete; di conseguenza, auf wiedersehen.

WORDS BY ALEX CAZZOLI
PICS BY COSTANTINO BEDIN

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