I concerti che aspetti con trepidazione sono di due tipi: alcuni sono concerti-palloncino.
Ascolti il disco, ti piace, ti esalta, poi arriva il momento del live e tutto diventa bidimensionale. Gli artisti sembrano dei cartonati di loro stessi, non si incastrano tra di loro neanche non si fossero mai visti prima e ti chiedi se il disco lo abbiano fatto con Photoshop.In due parole, i pacchi.
Altri invece sono una specie di epifania musicale. Di quelle in cui è tutto perfetto e ogni singola nota trasuda tutta l’esperienza, il talento, l’amore, il perfezionismo ossessivo di chi la sta ricreando appositamente per te, in un modo irripetibile che esiste solo lì e solo in quel momento.
Il tuo concerto su misura. Il concerto che risana ogni rottura di palle che ha interferito con la tua giornata e che azzera i pensieri inutili, come quando arrivi nel deserto e ti dimentichi in un istante tutto quello a cui stavi pensando. Il concerto terapeutico.
Bonobo al Magnolia, giovedì scorso, ha fatto uno spettacolo del secondo tipo.
Tra il mio corpo e il palco c’era troppo spazio e da lontano quasi non sono riuscita a distinguere la disposizione degli artisti, perché le loro sagome si scioglievano tra la luce blu e il fumo artificiale intorno. Ma hanno suonato per quasi due ore e hanno fatto emozionare, urlare e ululare un numero imprecisato – ma enorme – di persone.
Ed è stato tutto perfetto.
words by Dea
pics by Janine Billy
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