Dimensions 2014

richard
Tempo di lettura: 5' min
9 September 2014
Festival, Gallery

Quando un paio d’anni fa mi dissero che in Croazia si stavano organizzando svariati festival di musica elettronica e pure di qualità rimasi un po’ scettico, pensai che i croati non fossero poi così famosi per l’organizzazione di grossi eventi musicali per giunta riconosciuti a livello europeo, associavo invece le loro spiagge a vacanze low cost per cinquantenni annoiati alla ricerca di un surrogato della Sardegna, un pensiero che venne rafforzato dalle foto della gita dei miei genitori sull’isola di Krk. Iniziai a ricredermi solo quando sui social network uscirono i video dei primi festival a Pag e Umag, poi a Zadar e infine in una località il cui nome mi fece parecchio sorridere: Pula. E’ qui che ha luogo il Dimensions Festival, precisamente tra i bastioni di una roccaforte ottocentesca affacciata sul mare. Nulla togliere al bel paese ma in Italia sarebbe stato impensabile portare quarantamila persone in un posto di tale valenza storica senza che questo venisse danneggiato o peggio ancora che la burocrazia stroncasse la cosa sul nascere. In Croazia oltre a renderlo possibile sono arrivati a celebrare con quest’anno la terza edizione dell’evento, organizzato tra l’altro dagli stessi inglesi dell’Outlook (svoltosi la settimana dopo) che si portano dietro una buona metà degli avventori.
Va da sè che in poche ore di macchina arriviamo a Pula nel pomeriggio di giovedì perdendoci a causa di impegni lavorativi la preview della manifestazione il mercoledì sera nella spettacolare cornice dell’anfiteatro romano nel centro della città con i live show di Caribou e Darkside, un vero peccato accentuato dalla consapevolezza del dover ripartire con un giorno di anticipo sempre a causa dei medesimi impegni lavorativi (che possiamo anche chiamare senza tanti fronzoli fine delle dannate ferie), fortunatamente è un dispiacere che dura giusto il tempo di scarpinare per un sentiero tutto sassi e sterpaglie, entrare al festival e rendermi  conto che le locations scelte dagli organizzatori fossero più belle di quanto mi aspettassi.
Il primo stage è The Beach, ovvero qualche centinaio di metri di spiaggia aperti dalle due alle otto del pomeriggio, mare da urlo, chioschi di hamburger e long drinks, un dancefloor sabbioso tenuto costantemente umido per evitare il polverone, e una grande torretta rialzata in stile baywatch con un palco dove per tre pomeriggi abbiamo ascoltato nomi più o meno sconosciuti ma che hanno regalato più di un emozione, come il pianista Tom Smith, John Wizards (una band composta da ragazzini hipster sudafricani d’adozione) con un live frenetico di r&b misto afro-pop, jazz, elettronica e dub, in un caos totale che ha fatto saltare la pista dall’inizio alla fine del set prima della conclusione con un balearico David Martin mentre la gente butta giù le ultime birrette prima di salire nel cuore del festival. I due pomeriggi seguenti non sono stati da meno, da segnare sul taccuino Josey Rebelle e Thris Tian, uno dei fondatori dello show Boiler Room. Ma il momento di pura poesia è stato il venerdì all’insegna del jazz con il trio inglese Gogo Penguins e un “doppio” Mattew Harshall, prima in dj set e infine live con i Gondwana in un viaggio di jazz ed elettronica mentre stavo seduto in riva al mare con il mio fritto misto di pesce guardando stagliarsi oltre la mia birra media uno dei tramonti più belli di sempre.
Calato il sole abbandoniamo le infradito per indossare comode scarpe, infiliamo qualche sentiero che attraversa la zona boschiva tutt’attorno al forte e capitiamo nel primo vero stage serale, “The Clearing”. Tanti sarebbero stati i nomi meritevoli da sentire, troppi solo in questo palco, e come tutti sappiamo in queste situazioni si tenta di sacrificare il sacrificabile e selezionare qualche cavallo vincente oppure nomi che generalmente si fatica a sentire da altre parti, perciò ce la giochiamo con una mezzoretta live di Jon Hopkins e Metro Area, Jackmaster in chiusura venerdì con un set tamarro e decisamente “so nineties” ma apprezzato da tutti, Moodyman da lancio di reggiseni in consolle che suona pure una perla di Isaac Hayes (campionata anche da Portishead e Tricky) e infine il mio eroe personale del festival, Daphni aka Caribou che manda tutti a casa alle sei della mattina dopo un dj set che ha visto gente fluttuare a mezz’aria sospesa sulle note ovattate e distorte di Can’t Do Without You in un delirio di suoni che sembravano vivere di vita propria, per poi riprendere contatto con la realtà all’accendersi delle luci.
Ma The Clearing era solo l’antipasto di ciò che avrebbe offerto il Dimensions, perchè imboccando un altro sentiero si arriva in pochi minuti a Fort Punta Christo trasformato in parco divertimenti della techno. Nel fossato della roccaforte è stato ricavato lo stage più underground e a mio avviso il più hardcore, “The Moat”. Lungo e stretto, a tratti claustrofobico, buio e accessibile soltanto da una ripida scalinata di metallo, mura altissime dalle qualli troneggiavano tre colonne di casse per lato con bassi killer da far vibrare il ghiaccio nei bicchieri. Qui fanno da padroni Vakula, My Love Is Underground, Abstract Division e Ben Ufo, ma la rivelazione mistica è stata con Svengalisghost, un nome che fa pensare a tutto tranne che ad un afroamericano con rayban colorati che sfodera un live techno da pelle d’oca.
Tra gli altri palchi altrettanto underground ma decisamente meno cupi c’è “Mungo’s Arena”, la parte più  drum’n’bass della manifestazione, “The Garden” e “Arija Stage” situati in zone di passaggio tra i palchi principali e “Fort Arena 1” situato nella parte più alta del forte, qui abbiamo assistito al one girl show di Jessy Lanza, Vatican Shadow, Funkineven e ciliegina sulla torta Special Request, il progetto parallelo di Paul Woolford ispirato agli anni d’oro della scena jungle britannica. Tra gli stage minori infine il più nascosto, il “Ballroom”, con una portata massima di poco meno di un centinaio di persone, questa sala circolare vista dall’alto sembra un pozzo dove immergersi in una dimensione parallela quasi isolata dal mondo circostante.
Ultimo ma non per importanza “The Void”, a occhio e croce il palco più  grande del Dimensions, qui a dare il benvenuto la prima sera OstGut Ton showcase e l’accoppiata Dettmann e Ben Klock, venerdì all’insegna dell’eclettico e pare discusso Theo Parrish che,
parole sue, avrebbe dovuto suonare live se quei “motherfuckers” dei suoi compari fossero riusciti ad arrivare in Croazia. Salutiamo il Void con Roman Flugel perdendo Floating Points la domenica e molti altri che in ogni caso non saremmo riusciti a sentire grazie al diluvio universale riversatosi nell’ultima giornata di festival, facendo saltare gran parte degli spettacoli e costringendo l’organizzazione a dimezzare la programmazione prevista per la serata, imprevisto che comunque non ha scoraggiato molti partecipanti a ballare tra pozze d’acqua e fango.
Usciamo così dall’edizione 2014 del Dimensions, lasciandoci alle spalle un sole che albeggia tra le fronde degli alberi di Fort Punta Christo e che si riflette sulle migliaia di facce stanche ma soddisfatte di persone provenienti da tutta Europa, con la certezza che non sarà un addio ma un arrivederci alla prossima edizione, perchè lasciatemelo dire, ma quel tramonto in riva al mare merita di essere visto almeno altre cento volte.

Words by Richard Giori

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 Gallery by Cecilia Secchieri

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