Metti un venerdì sera al Cassero con Mykki Blanco

polpetta
Tempo di lettura: 3' min
27 November 2018
Review 4 U

MYKKI BLANCO È SEMPLICEMENTE U.A.U.

Venerdì notte Mykki Blanco ha suonato a LaRoboterie del Cassero per quaranta minuti scarsi.

Nell’arco di un’intera serata quaranta minuti manco li percepisci, equivalgono al tempo di una sigaretta e una fila per il gin tonic. A molti artisti occorrono almeno quaranta minuti di esibizione prima di carburare e prendere confidenza col palco e col pubblico. Tra questi, non vi è il nome di Mykki Blanco.

Mykki Blanco è un artista a tutto tondo. Potrei appoggiarmi a svariate categorie per definirne l’immaginario: é un performer americano, un rapper transgender, un poeta e un attivista per i diritti LGBT contro un environment di stampo razzista e xenofobo. La verità è che il suo bagaglio identitario è troppo vasto e sfaccettato per poterlo ridurre a un’etichetta. Mykki rappresenta oggi un plus ultra di categoria, surfando tra sonorità rap, hip-hop e noise. I suoi riferimenti culturali spaziano dalla letteratura della controversa scrittrice Anais Nin, al movimento femminista delle riot grrrl degli anni novanta, fino alla rapper Lil’ Kim.

L’ufficiale album di debutto, Mykki è uscito nel 2016, proponendo tracce come High school never ends o Loner, che hanno definitivamente consolidato la sua posizione nel panorama musicale attuale. In realtà l’artista desta parecchio interesse since 2012 grazie a Cosmic Angel:the illuminati Prince/ss e Gay Food Dog (2014), due mixtape dall’animo punk. I testi delle sue canzoni rappresentano una valvola di sfogo come le pagine di un diario, parlano di isolamento e oppressione ma anche di amore e speranza.

Ero all’ingresso del Cassero quando incrocio lo sguardo di una persona che cammina verso l’entrata con un bouquet in mano, i modi eleganti e gentili. Un caschetto biondo incornicia un sorriso, un top rosso paiettato copre dei pantaloni a palazzo. Poco dopo entro dentro, Mykki Blanco è lì in pista. Saluta, ride e fuma sigarette prima dell’inizio della sua esibizione.

I quaranta minuti di Mykki Blanco sono stati il cuore, il concentrato tra due vuoti. La prima parola chiave che userò per descrivere la performance è presenza. La sua è stata una presenza viscerale, corporea, sensuale, aggressiva. Il rapper americano è riuscito a coinvolgere il pubblico e a possedere l’intera sala fin dal primo minuto, plasmandola in un campo magnetico di cui tutti facevamo parte, voyeur e partecipi del suo universo.

(continua sotto)

Mykki Blanco

Mykki sovrasta il palco con carisma ed energia vitale, e canta pezzi come Coke White, Starlight, e The plug wont, intanto si sposta, salta, batte i piedi. Lo fa senza mai perdere il contatto visivo con noi, girasoli e discepoli, che probabilmente ricambiamo il suo sguardo con una faccia idiota e la bocca aperta dallo stupore. Poi si lancia giù dal palco e annulla le distanze unendosi al magma di gente esultante. Crea un cyper e ci balla dentro. Afferra un materasso del divano e improvvisa un pogo in mezzo a noi, che ci facciamo felicemente prendere a cuscinate.
Balza sulla postazione del deejay, lui indugia, ha paura, sposta il Mac un pochino più in là, ma Mykki possiede il controllo, sicurezza e grazia, mentre intona un rap incisivo e vibrante.
“Sono sieropositivo”, annuncia, e lo fa con un’intensità disarmante. Prende un bicchiere d’acqua e se lo versa addosso. Si toglie la parrucca, la scuote tenendola in bocca e poi la lancia via.

Quella di Mykki Blanco venerdì sera al Cassero è stata un’effervescente performance politica, una dichiarazione di passione in cui la musica e la danza diventano espressione di se stessi e delle lotte personali e collettive. L’istintività è la sua forza, e si traduce nella necessità di essere selvaggi, autentici e liberi di agire senza coreografia o struttura. Il carisma unito a un’enorme carica positiva infarcita di ironia e provocazione gli ingredienti principali che definiscono un’esibizione storica.
Insomma, ciò che distingue una vera icona.

Subito dopo l’esibizione io e i miei amici non siamo riusciti a balbettare nient’altro che ..no vabbeh..uauu..wuuuoo e a emettere altri suoni ai margini del linguaggio verbale, però insomma ci capivamo ed eravamo d’accordo. Guardandomi intorno ho notato che anche le altre persone erano tutte praticamente nelle nostre stesse condizioni. Quindi va bene, tutto ok. E’ il classico effetto di un concerto di Mykki Blanco, che poi è durato solo quaranta minuti.

 

Testo: Valeria Mauro
Foto: Richard Giori

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