L’intervista a Flavio Vecchi: un viaggio nel tempo e nei templi della house music

domenico
Tempo di lettura: 6' min
16 April 2020
Interviste
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In questo periodo di vita in casa siamo andati a trovare (virtualmente!) “Il Maestro” Flavio Vecchi.

Simbolo della musica house italiana, in conosolle dai primi anni ’80 e dj simbolo di locali storici come il Kinki, Ethos mama club ed Echoes club. Mentre mette in ordine i suoi scaffali e riascolta un po’ di vecchi dischi, ci ha raccontato un po’ delle sue esperienze estere, dei primi afterhours e di quella Riviera che era pronta a prendere il volo ma che trovò l’aeroporto chiuso.

 

Ciao Flavio, come stai? E soprattutto come stai vivendo questa quarantena?

Grazie al cielo sto bene! Oggi è il 14 aprile ed è ormai un mese che ci troviamo in questa situazione. Più delle limitazioni a cui siamo sottoposti mi pesa l’ignoto, quello che sarà non lo sappiamo, per cui questa quarantena la sto vivendo pensando, ascoltando musica facendo più ordine nei miei scaffali e quindi riascoltando dischi di anni passati.

 

Quello che nel mio piccolo mi piace fare è raccontare la musica, usare parole per descrivere sentimenti ed emozioni, raccontare il club, i cambiamenti e le loro evoluzioni. Mi piace parlare con chi la storia l’ha fatta, con chi era presente quando tutto iniziava a prendere forma.
“Il Maestro” (così ti considerano tanti addetti ai lavori) inizia a muovere i suoi primi passi nei negozi di dischi agli inizi degli anni ’80, spinto dalla passione per la musica black e funky. Quanto erano importanti i negozi di dischi prima, come sono cambiati nel tempo e come sono ora?

I negozi di dischi per noi djs sono sempre stati luoghi attraenti, quelli in città erano anche luoghi dove incontrare amici, parlare di musica e non solo.
Luoghi dove trascorrere un pomeriggio. Devo dire che mi mancano soprattutto se li consideriamo non solo come posti dove si vendono dischi ma come situazioni di aggregazione.

 

Ad un certo punto decidi di trasferirti in Inghilterra, come fu l’esperienza di Londra e cosa ti è rimasto di quegli anni?

Nel 1984 mi trasferii ad Oxford a casa di una cara cugina. Quando si hanno poco pi di 20 anni l’occasione di fare esperienze di vita all’estero non te le devi far scappare scappare! Avendo avuto la fortuna di poter vivere a Oxford ne ho approfittato per studiare l’inglese, e dove se non a Oxford?!
Mi è rimasta l’ottima conoscenza della lingua inglese. Dopo sei mesi mi traferii a Londra anche perchè, leggendo il noto settimanale “Timeout”, mi resi conto che c’erano concerti tutte le settimane.
Fu per me un periodo ricco di concerti, andavo a vedere cantanti o band che non sarebbero mai venute in Italia come The Maze, Mtume, Allison Moyet e altri.
Tirando le somme dell’esperienza inglese mi resi conto, una volta tornato in Italia, che sapevo l’inglese, una gran bella sensazione, e che avevo ascoltato tanta musica di tanti tipi che ha ampliato il mio orizzonte musicale.

 

Era il 1986 ed anche in Europa iniziavano ad arrivare quei suoni americani di New York e Chicago, una vera e propria rivoluzione musicale.
Tornato da Londra ti viene proposta una nuova serata al Kinki, un venerdì sera che nel giro di pochi mesi diventerà un punto di riferimento della scena house italiana. Cosa avevano di speciale quei venerdì sera sotto le due Torri?

Dopo qualche mese che tornai a Bologna ebbi l’opportunità di suonare al Kinki. Fu proprio sotto le due Torri che la forte convinzione e la capacità di Phil l’australiano incontro i primi prototipi di p.r., le Pettegoliere cioè Sabrina Bertaccini e Mara Conti, la mia musica ed una location perfetta per quel nuovo venerdì sera.
Di speciale quindi c’erano tutti gli ingredienti per dar vita ad una nuova concezione di club.
Ai tempi, per intendersi, lo si definiva trendy underground. Fu anche in quegli anni che musica e moda iniziarono ad andare di pari passo.

Con il tempo Bologna è cambiata, il Kinki è cambiato, i club sono cambiati. Quanto mancano alla scena attuale posti come il Kinki?

È vero adesso i tempi sono cambiati, i club, per come li intendiamo noi, sono spariti o quasi, qualcuno resiste e fa, o almeno prova a far bene.
Il club è quel posto che frequenti spesso, il posto dove ti senti a tuo agio, non ti disperdi mai e anche se ci vai da solo sei sicuro che trovi qualche tuo amico.
A me mancano, ma più che a me mancano alla nightlife, mancano a tante persone, e mancano anche ai djs, soprattutto perchè erano proprio i club che davano la possibilità ai djs di potresi esprimere e fare tanta esperienza.

 

Pensi che oggi Bologna si sia un po’ imborghesita?

Questo possibile imborghesimento non riguarda solo Bologna ma l’Italia intera e credo che il motivo sia per mancanza di offerta.
Per esperienze personali però ho constatato più volte che se un gruppo di persone credibili danno vita a qualche evento la gente esce di casa molto volentieri per andarci.

 

Agli inizi degli anni ’90 la Riviera era un vero e proprio laboratorio musicale, un contenitore di idee, cosa le è mancato per diventare una meta turistica musicale al pari di Ibiza? Davvero le “mamme rock” furono così incazzate da ostacolarne la crescita e quel definitivo e necessario salto di qualità?

Sicuramente c’è stato un periodo in cui Riccione e Ibiza erano sullo stesso livello. Era la prima metà anni ’90 e ricordo che quando in quegli anni mi invitavano a suonare al Pacha o all’Amnesia, i djs locali si relazionavano con noi italiani in modo ospitale, perchè credo che ci ascoltassero con attenzione.
Credo che l’amministrazione locale in generale della riviera romagnola abbia perso una grande occasione: negli anni in cui nascevano le compagnie aeree low cost avevi un aeroporto e non l’hai sfruttato! A Ibiza ogni 5 minuti arriva un aereo pieno.
I promoter stranieri, sopratutto inglesi, venivano a Riccione durante la fiera chiamata SILB. Era una fiera sulle attrezzature da discoteca, luci, sound system etc…, ma poi alla sera c’erano serate importanti per 4 giorni per cui avevamo addirittura il corrispondente del Miami music festival, o ADE di Amsterdam, Sonar di Barcelona, ma quando hanno visto che l’aeroporto di riferimento era Bologna e non Rimini, credo che per i promoter sia stato decisivo.

 

Nonostante le “mamme rock” Ethos Mama Club ed Echoes segneranno la storia del clubbing italiano, una linea musicale ed un concetto di club ben definito.
Chi frequentava questi club, una volta varcato l’ingresso, sapeva che musica trovava e si sentiva a suo agio in ambienti che ti distaccavano dalla vita reale, dai problemi quotidiani, dal superfluo, in una sola parola: aggregazione! Pensi che club e musica continuano ancora ad avere (anche) questo ruolo?

Aggregazione. È una parola che ci piace, se poi c’è anche la musica che ci piace diventa una cosa che ci piace molto!
Questa aggregazione però è più piacevole nei club invece che in festival di 20.000 persone. Vorrei più clubs e meno festival.

Sei stato anche il precursore dei primi afterhour: “Vae Victis” e “Diabolika”. Ballare fino alle prime luci dell’alba era diventato un limite da superare, ho letto che non tutti avevano la fortuna di entrare per la rigida selezione all’ingresso, chi invece ce la faceva cosa trovava dentro?

Chi riusciva ad entrare al Diabolika trovava l’ebrezza di una cosa nuova, mica poco!! Si apriva alle 6 del mattino quando tutte le altre discoteche chiudevano, e si andava avanti fino a Mezzogiorno. Chi riusciva ad entrare trovava una bella location nel centro di Riccione, trovava al piano terra un bar tipico da colazione, chiacchere, quotidiani sui tavolini, salendo le scale al piano superiore trovava una sala buia con le luci da disco, per cui l’impressione che fuori sia ancora buio, e quindi ancora notte.
La musica la facevamo noi, il pubblico proveniva da diversi tipi di locali per cui pubblico eterogeneo. Si creava il mix perfetto.

 

Guardando alle nuove generazioni vedi in giro qualche talento o siamo ancora in un mare di mediocrità?

Se in questi ultimi anni siano emersi dei giovani talenti? Io non sono la persona che può rispondere, il motivo non è fare o non fare nomi.
Il vero motivo è che si suona poco tempo, un’ora e mezza è troppo poco per poter dimostrare valore e bravura di un dj dietro una consolle.  Per cui ci saranno dei giovani talenti ma le occasioni per poterlo dimostrare dove sono?

 

Ricky Montanari, un compagno di viaggio, tante serate insieme e tante consolle condivise. Raccontaci un aneddoto particolare di questa amicizia trentennale.

Sinceramente non ho aneddoti da raccontare del mio rapporto con Ricky Montanari, oppure ne avrei mille, ma uno non saprei.

 

Allora ci toccherà intervistare anche lui e chiedergli qualche aneddoto su di te! Siamo arrivati alla fine di questa chiaccherara e ti voglio ringraziare per il tempo che ci hai dedicato, con la speranza che questo virus infame venga presto sconfitto e che si torni tutti a ballare sotto lo stesso cielo! Ultima domanda, un classico delle mie interviste: la tua pizza preferita?

Pizza bianca(schiacciata a Bologna e fornarina a Riccione) con spinaci lessi, patate al forno e manciata di parmigiano a cottura terminata.
Se però mi trovo a Napoli come è capitato decine di volte faccio di tutto per andare da Michele quartiere Forcella, storica e notissima pizzeria, preparano solo la margherita, niente a che vedere con la miglior margherita mangiata in Emilia-Romagna.

Grazie mille Flavio e speriamo di vederci presto in pista!

Grazie a voi!

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