George A. Romero ci ha lasciati. Il padre del morto vivente cinematografico contemporaneo non c’è più. Spentosi a 77 anni per quello che l’amico e collega King nei suoi romanzi descrive come la cosa più spaventosa che esista sulla faccia della terra: un tumore.
Conobbi George A. Romero nel 2008, alla prima mondiale della sua ultima pellicola, Survival Of The Dead. Spinsi via un paio di fotografi per avvicinarmi a lui e tentare di stringergli la mano, rendendomi conto che il regista che mi aveva avvicinato al mondo del cinema ed era la causa del mio soprannome era un gigante in tutti i sensi. Non mi avesse sorriso mi avrebbe messo in profonda soggezione. Riuscii a stringergli la mano, scambiare due parole balbettando in maniera mostruosa e farmi scattare una foto con lui. Quella foto l’ho appesa nel mio studio ed è palese come fossi emozionato a starci accanto, oltre ad essere scandalosamente sovrappeso e grasso mentre lui appariva in splendida forma. Riguardandola mi pare impossibile che un essere simile se ne sia andato.
Ma uno come George non può morire, uno come George è molto di più che la somma della sua filmografia, è molto di più dell’aggiornamento del morto vivente al ventesimo secolo. George A. Romero è stato un rivoluzionario nel senso stretto della parola. Ha messo insieme in maniera indipendente un cast di attori e tecnici dando vita a quello che verrà conosciuto come il cinema di Pittsburgh. Una risposta indipendente, libera e politicamente impegnata all’inflazionata Hollywood. Basti pensare che, senza il cinema di Romero, Tom Savini, il mago degli effetti speciali, probabilmente non avrebbe iniziato la sua carriera alzando l’asticella del realismo, di conseguenza allievi di talento nel campo degli effetti speciali come Greg Nicotero non sarebbero esistiti, per non parlare di attori di culto come Ken Foree (il Peter di Dawn of the dead), John Amplas (Martin) o Lori Cardille. Nei film di Romero l’orrore, seppur vivido e palpabile, con non poche dosi di gore, è sempre stato un mezzo per parlare di qualcos’altro, per fare della critica sociale senza abbandonare il fine ultimo del cinema: Intrattenere. Con il suo capolavoro Dawn Of The Dead, filmato nel periodo più fertile della sua carriera, Romero mette in scena le basi per la zombi apocalypse che ora è materia primigenia di molti media, ma ancor di più, costruisce una feroce e abile critica sociale al consumismo e al sogno americano e non basterebbero queste pagine per analizzare appieno quello che è un film che non può non essere visto almeno una volta. Dello stesso periodo furono filmati altri 3 film che consiglio vivamente: il primo, appena antecedente a Dawn Of The Dead è Martin, la storia di un giovane convinto di essere un vampiro. Girato a budget zero con attori locali (fra cui Tom Savini che interpreterà molteplici ruoli) il film tratta di un giovane che è indotto, dalle superstizioni di famiglia, a credere di essere un vampiro con atroci conseguenze. Martin, datato 1977/78 è anni luce avanti al concept del vampiro moderno. Il vampirismo viene visto come nevrosi sessuale, dovuta al condizionamento famigliare che ha distrutto la psiche di un altrimenti normalissimo ragazzo ed è per Romero il suo film migliore in quanto non avendo una produzione alle spalle ha potuto muoversi liberamente senza dover rendere conto a nessuno. Il secondo film è CreepShow, girato con un budget più alto a seguito del successo di Dawn of The Dead, Creepshow è il primo cinecomic in assoluto. Ideato assieme all’amico e collega Stephen King, Creepshow mette in scena degli episodi dell’orrore un omaggio alle riviste pulp orrorifiche che andavano di moda quando King e Romero erano giovani. La regia e la fotografia ricreano perfettamente lo stile da comic di terza categoria con split screen e colorazioni al neon. Imperdibile l’episodio che omaggia il colore venuto dallo spazio di H.P. Lovecraft in cui un bifolco interpretato da Stephen King viene contaminato da un meteorite caduto nell’orto. L’ultimo e più iconico (e meno conosciuto) film con cui vi voglio lasciare è Knightriders. Knightriders tratta di un circo itinerante di moderni cavalieri, legati al mito di re Artù, che barattando i loro cavalli per delle moto da corsa vivono in una realtà assolutamente libera dalle regole di mercato e dalle convenzioni della società contemporanea, portando avanti valori cavallereschi. L’interesse dei media e il tradimento di uno dei membri del gruppo porterà alla distruzione di questo sogno, in un parallelo affascinante e tragico con la morte della industria cinematografica indipendente che George A. Romero aveva contribuito a creare e che, con le sue pellicole ci ha lasciato in eredità assieme ad un messaggio: Il genio creativo deve essere sempre libero da convenzioni e logiche di mercato.
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