Come ho fatto a dimenticarmi di Jaar… Alfredo?

janine
Tempo di lettura: 2' min
3 September 2015
Art, In primo piano, Review 4 U

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Correva l’anno 2009, ero allo IED di Milano e studiavo Arti Visive. Un professore particolarmente strano e/o interessante ci fa notare i cartelloni che da qualche giorno inondano Milano. Tram, cabine telefoniche e cartelloni pubblicitari son ricoperti da bizzarre scritte, domande per essere precisi. Queste recitavano : cos’è la cultura? Abbiamo dimenticato la cultura?
Queste domande dovevano rappresentare l’advertising della mostra di Alfredo Jaar intitolata “It’s Diffult” che si teneva all’Hangar Bicocca in quel periodo. Tale mostra rappresenta un percorso attraverso le opere più importanti dell’artista il quale crede in una correlazione tra etica ed estetica, attribuisce fondamentale importanza a un ruolo attivo e socialmente responsabile della cultura e insiste sulla necessità di ribadire, attraverso l’energia creativa dell’arte, posizioni etiche, anche fortemente critiche, di fronte a temi difficili e a fatti gravi come ingiustizie, genocidi, emergenze umanitarie.
Fu una mostra molto toccante ed introspettiva.
Per la prima volta vedevo così tanta umanità in un’opera d’arte e sempre per la prima volta vedevo così tanta poliedricità in un artista. Dalla scultura all’installazione, dal video alla fotografia, dal light box fino ad opere di dimensioni ambientali.
Un artista che mi ha aperto molte porte mentali e creative.

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Finii lo IED ed in una notte parigina di qualche anno più tardi mi imbattei in una track che alcuni miei amici locali definirono sublime; si trattava della track “El Bandito” di Nicolas Jaar.
Sviluppai una vera e propria passione per questo giovane talento cileno, e come me mezza europa. La sua musica da dancefloor si ma forse un po’ troppo ambient, eclettica e piena di strani rumori, sonorità coinvolgenti ma sofisticate, per me una totale nuova sperimentazione musicale che mi ha rapita ed emozionato come niente prima.
I più grandi festival facevano a gara per ospitarlo come headliner ed io continuavo a collezionare le sue tracks, “Time for Us” ho addirittura sentito l’esigenza di comprarlo in vinile, sentendo così poi l’esigenza di rubare a mio padre il suo vecchio giradischi.

Il suo ritiro dalle scene per qualche tempo mi ha quasi fatta soffrire. Ed il suo ritorno con la colonna sonora di Pomogranetes quasi delusa, ma poi sono arrivati Nymphs II e III, così l’amore per Nicolino è scoppiato nuovamente.
Proprio cercando informazioni su queste due nuove uscite, entrambe in vinile ed entrambe su/per Other People, mi sono imbattuta in una informazioni probabilmente scontatissima ma che non avevo mai trovato e sol col mio intelletto non avevo mai collegato: Alfredo Jaar era il padre di Nicolas.

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Come ho potuto non arrivarci prima, come ho potuto dimenticare Alfredo?
L’uomo che aveva portato in una grande stanza d’esposione 150 tonnellate di schegge di vetro distese come un tappeto che portava ad una scritta al neon che recitava : “Abbiamo amato tanto la rivoluzione ” .

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L’uomo che ha costruito un’installazione dal titolo “Infinite Cell” che rappresentava la cella di una prigione ma ripetuta infinite volte grazie ad un gioco interno di specchi prendendo spunto da una citazione di Pasolini che diceva : “La cultura è una prigione”.

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