New Energy – Four Tet (TEXT RECORDS)

sergio-creep
Tempo di lettura: 4' min
13 October 2017
Review 4 U

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E’ Inglese, ma veste capi con sù scritto “India”.

Si dice faccia elettronica, ma in realtà è dalla fine dei ‘90 che oscilla come un metronomo fra la realtà accessibile a tutti ed un’altra per cui solo lui può farci da interprete.

Beat maker, musicista polistrumentista e “pro” nella tecnica produttiva del “taglia e cuci” nelle produzioni a base di campioni registrati esternamente.

La carriera di Four Tet schizza quando Aphex Twin lo seleziona per lavorare al remix di una traccia appartenente al suo album “Selected ambient works volume II”, nel 2000.

Di lì in poi ben 9 album di produzione propria ed innumerevoli collaborazioni con artisti provenienti da ogni ramo stilistico della musica: dalla tribale/etnica a quella elettronica sperimentale, dal post rock al pop e via discorrendo.

Ad oltre 4 anni dall’uscita di “Beautiful Rewind”, il producer Inglese Kieran Hebden torna negli shop di dischi con 13 tracce tutte da spolpare.

Da spolpare perché il Kieran che troviamo oggi è molto diverso rispetto qualche hanno fa.

Sicuramente non c’è più l’estro caratteristico che da giovane ed incosciente lo ha portato sull’olimpo dell’elettronica mondiale.

Al contempo invece si trovano degli aspetti che dimostrano la sua crescita compositiva e tecnica.

Dire in casi così che non ci sia nulla di interessante negli ascolti di queste tracce è una bestemmia perché in pochi possono permettersi di credere di non appartenere a nessuna sfera musicale o, quantomeno, di poter vantare un inventiva tale da sopraelevarli oltre i confini umani che la critica di “genere” impone.

Qui si parla di un artista rivoluzionario e che ha dato tanto alla musica in generale, quindi nonostante la scelta di dedicarsi ad un progetto meno danzereccio ma più emotivo, non può assolutamente essere considerato un calo di prestazioni.

E’ vero, in alcuni momenti sembra di sentire qualcosa che sa di familiare, ma provatemi a spiegare come si fa a non riconoscere una produzione qualsiasi di Four Tet in mezzo ad altri milioni di produzioni?

Il suono, le vibrazioni, la profondità, le voci e i campionamenti sono elementi che caratterizzano lo stile dell’ormai quarantenne Kieran e che ne hanno costituito il marchio di fabbrica dentro una pozzanghera ricca di tante altre cose “normali”.

Mentre lui invece no, ha creato il suo stampo, che tra l’altro nessuno è mai riuscito a copiare, indicando al pubblico (aimè per lui) un precedente.

Quello che ai più porta l’album a sfuggire dalla dannata etichetta di “insipido” è il “suono familiare” appunto, come se fosse la cosa necessaria a riportare l’ascoltatore a percepire il tenue odore risalente alle origini del mito, nonostante l’approccio fra ascolto e reazione non sia più istantanei come un tempo.

Quindi oggi si tratta di un album che richiede più ascolti e particolarmente attenti.

Sono molti i punti chiave che possono sfuggire da una prima sommaria analisi.

In via definitiva, per entrare in New Energy il trucco è distaccarsi alle precedenti pubblicazioni.

Mi spiego meglio: dovremmo essere qui per “criticare” i fatti, dunque esponendo osservazioni su ciò che accade, evitando come la peste il condizionamento dovuto alle aspettative create mediante i precedenti lavori.

Togliendoci così le toghe da indovini, attraversiamo una delle 5 tracce ambient che non superano il minuto e trenta di durata: caratterizzate ognuna dal proprio richiamo a influenze temporali o geografiche differenti.

Come ad esempio la derivazione folk di “Alap” e le sue calde note pizzicate manualmente si distinguono distintamente dalla chiacchierata di strumenti orchestrali in “10 Midi” che intervalla il fiabesco tuffo fra l’arpa e le percussioni arpeggiate di “Memories” e l’incalzante “SW9 9SL”.

Le corde cristalline ritorneranno spesso, proprio come anche in “Lush” e nella traccia che più mi ha fatto pensare che questo sia l’anno del cambiamento per Il producer inglese: “Two Thousand and Seventeen”, ricca di suoni speranzosi e volti verso un orizzonte sonoro del far east, quasi ad illuminare un glorioso anno che volge verso il termine.

Ascoltando il dolce giro di sintetizzatore di “LA Trance” notiamo una mano delicata, non a caso appartenente alla regina dei sintetizzatori modulari Kaitlyn Aurelia Smith.

Il background di Four Tet è fortemente segnato dal jazz e dal post rock oltre che da tutto il resto, e alcune piccole dimostrazioni si possono ritrovare nell’ascolto di “Scientist”, i cui samples vocali e gli assoli di tromba riconducono ad uno scenario non propriamente elettronico, mentre le adorabili ritmiche di batteria nel sottofondo di “Your Are Loved” fanno da tappeto alla progressione del poderoso synth che ne sorregge la struttura.

Fino a qui abbiamo pensato che questo sia un album in pena regola con le leggi che vigono negli ascolti da salotto, e “Daughter” ce ne dà la conferma.
L’ultima traccia “Planet” non è altro che il giusto epilogo di un percorso storico ed interiore, di qui in poi solo corde squillanti alternate a colpi bassi in 4/4 e loop vocali a tutto spiano.

I punti cardine relativi la stesura dei brani rimangono tutti invariati, ovvero i progressivi arricchimenti armonici, i toni positivi ma mai in maniera eccessiva, l’uso ancora presente (seppur rimaneggiato rispetto i lavori passati) del campionamento e una massiccia dose di groove percussivo.

La New Energy di Four Tet insomma a noi piace, soprattutto perché fa parte di un cambiamento interiore.
Cosa che altri, al giorno d’oggi, temono di fare.

 

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