Jazz:Re:Found 2016 – makes the night great again.

polpetta
Tempo di lettura: 5' min
27 December 2016
Festival

Assistere ad una delle più rappresentative narrazioni del 2016 dedicate alla Black Music non è stata una semplice esperienza, ma bensì una vera e propria fortuna.

Jazz re found riparte in questa nona edizione vestendo nuovi panni.

Messi da parte gli abiti da “ballo delle matricole”, si appresta a coprire le sue nudità con vesti di tutt’altro stile, quelle serie e mature di chi ormai ha trovato sia sè stesso, che la donna della propria vita.

Il racconto in cui ci stiamo addentrando è fatto di azioni decise e una grande chiarezza di idee, rappresentata sotto forma di eterogeneità ed, al contempo, equilibrio.

Una fra le peculiarità del festival è senza ombra di dubbio l’origine e il suo sviluppo sul territorio (geolocalizzazione per la gps generation).

Come già raccontato nel precedente report, dopo i trascorsi vercellesi (prima nelle periferie, poi nelle aree urbane) e una parentesi che vede muoversi gli allora pochi volontari di CASANOEGO sull’asse Milano-Vercelli-Torino, questa edizione pare annunciare l’inizio di una novella tutt’altro che lontana da quella che chiunque vorrebbe sentirsi cantare.

Tutt’altro che decontestualizzato, anzi, minuziosamente collocato, jazz re found esordisce citando la raccolta di episodi da cui trae ispirazione la battle del Mercoledì, “The get down”.

La crew dei Microfili da Milano getta la spugna dinnanzi i padroni di casa della Augusta Taurinorum, mentre lezioni di stile senza nè vincitori nè vinti proseguono nei buchi creati dai “breakers” impegnati allo Spazio Dora.

Grandmasterflash spezza gli imbarazzi offrendo ottima ispirazione per le figure dei ballerini impegnati, certamente non prima che ensi abbia portato il nostro culo a seguire in sync il collo, in una sfrenata corsa verso la ricerca della connessione col resto del mondo.

Pare facile da pensare, ma non potete immaginare quanto possa essere difficile da fare, soprattutto quando gli anni 70 coincidono perfettamente con i nostri giorni e l hip hop più incazzato comincia a contrapporsi alle prime espressioni elettroniche e house che l’umano abbia mai percepito.

Ltj Trevisi e i Grasso Brothers ci tengono a rendere chiaro il concetto.

Sfila via così il primo giorno: fra salami al tartufo e tome al verde.

Con Andrea Di Maggio aka Passenger e qualche sambuca (noto rimedio empirico ai malesseri di stagione, almeno così ci è stato detto) andiamo dietro al palco, dove un carrello di birre pare stia entrando in scena…ah no, è quello per il vero capo del palco, Mr. Scruff.

Dire “il solito live da 5 ore” rischierebbe di sminuire l’immenso operato del dj di Manchester.

Accompagnato da illustrazioni proiettate sopra la sua testa ci godiamo con grande piacere un’evoluzione controtendenza (un pò come tutto quello che stiamo vedendo attorno a noi) che vede l’inglese al timone di una barca solidissima, nelle più tempestose acque oceaniche.

House lenta e ipnotica alla sua prima birra.

Una delicata suonata folk con beat penetranti alla trentaseiesima.

Mi risulta d’obbligo una precisazione: è già ben chiaro che il jazz non sia l’unica matrice del festival, ma stando ai primi bocconi risulta lampante come fra un verso e l’altro la novella voglia spiegarci quanto la Broken Beat, il Soul e la doppia H abbiano giocato un ruolo fondamentale nella formazione di determinate generazioni e stili.

Nella vita, nella moda e nelle strade la Black Music ha coniato modelli di entertainment e aggregazione, qui ripresi quasi come se si volesse testare la sua importanza applicata alla contemporaneità.

È il venerdì, di nuovo allo Spazio Dora, a darci conferma del buon esito di questo esperimento con l’alternarsi di alcuni fra i migliori artisti del palinsesto: in particolar modo il collezionista di dischi e radiofonico Gilles Peterson, i veri “duri a morire” dell hip hop italiano Colle Der Fomento ed infine il centrifugato di energia e suoni dal mondo dell’italianissimo Clap! Clap!

Arrivati ad un punto in cui l’estrema varietà dei contenuti porta ad un indirizzo ben chiaro, pare lampante che il confine dei “generi musicali” sia stato ancora una volta sdoganato, con sè anche le barriere fra le piattaforme che ne vedono sviluppare il filo logico che sta alla base..

Quindi, perchè fermarsi all’intrattenimento nei club quando si potrebbe fare una mostra e denocciolare i temi attorno al quale rotea la sua dimensione?

Francesca Magnani parlerà così dei suoi scatti e dell’importanza che ha per lei il dare risalto alle minoranze e alle storie dei volti a cui affida il suo messaggio.

Il teatro del sucessivo dibattito sarà Il circolo dei lettori, con Damir Ivic all’arbitraggio, mentre importanti pedine di magazine come Noysey, Griot e l’infinito Raffaele Costantino discuteranno con Lou Constant-Desportes per aprire le porte ad un ulteriore approfondimento su ciò che Afropunk ha messo in piedi nel contrastare le distinzioni razziali e rierigere le ormai indebolite difese del “black power”.

Ora però dobbiamo correre alla Scuola Holden (location 4), abbiamo un irrinunciabile appuntamento con l’omonimo artista che questa volta si presenta in chiave più zen, meno punk (passatemi i termini) e accompagnato dalla sua band.

Dall’energia degli anni scorsi all’introspezione melodica, questo è il percorso che pare abbia intrapreso il giovane compositore che sta via via abbandonando le influenze club per abbracciare sonorità di strada.

Nel suo nulla di sbagliato, 2 fiati fluttuano liberi su batterie ossessive richiamanti le ritmiche post-rock più comuni: ne verrà fuori uno show di altissimo livello.

Per cavalcare l’onda Tony Allen impartisce lezioni di batteria e stile.

Umanità ed esperienza sono i fattori fondamentali del suo successo, uniti ad un inventiva senza eguali nel mondo del jazz.

Mentre il Cap10100 e il pubblico spalla a spalla si gode l ultimo show del Venerdì, noi ci prepariamo già al giorno seguente.

Nella più estesa e definita delle edizioni di Jazz Re:Found la collaborazione con il Dude Club di Milano, porta negli angoli scuri del Teatro della Concordia e dello Spazio Dora Leon Vynehall, Soichi Terada ed Enrico Crivellaro aka Volcov inseme al resident Abstract.

Il loro compito dovrebbe essere quello di tenere alta la bandiera del clubbing e delle forti influenze etniche che gli artisti si portano dietro: il brit style per il primo e suonare gli origami il secondo (si, avete letto bene).

Gli UR (Undergound Resistance) hanno però esplicitato che nessun’altra bandiera può essere issata in loro presenza, e Joe Claussel lo ha ribadito chiudendo questa edizione fra gli applausi scroscianti del pubblico, dopo un set costellato di emozioni e puro coinvolgimento.

Non ci sbilanciamo in previsioni ma abbiamo avuto un’ottima impressione analizzando lo storico del festival: la crescita nei numeri è stata rilevante, quasi come quella nei concetti e nell’organizzazione.

9300 partecipanti

36 artisti

68 ore di intrattenimento

53 volontari

327 iscritti in guest list

Noi siamo già pronti alla prossima edizione, nel frattempo consigliamo di seguire la pagina facebook della famiglia vercellese per non perdervi l’appuntamento più vicino nel tempo, già ad Aprile con il collettivo jazz fusion degli Snarky Puppy.

Jazz Re:Found – Makes the night great again.

words by Sergio Mannino
pics by Roberto Mazza Antonov

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