NOS Primavera Sound Porto 2017 SPECIALE “APHEX TWIN”

sergio-creep
Tempo di lettura: 5' min
8 May 2017
Save The Date, Tracks_Interview

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L’ultima volta che ci siamo trovati qui parlando di Primavera Sound abbiamo dedicato particolare attenzione ad una band: quindi strumenti, accordi, registrazioni, voci, e compagnia bella (per chi non avesse letto (http://www.polpettamag.com/nos-primavera-sound-porto-8910-giugno-2017-shellac-focus-on/)

Per quel riguarda il festival, oltre alla geolocalizzazione, ci siamo trovati a riflettere sui legami che uniscono tanti artisti, ma ognuno col suo personalissimo bagaglio musicale da presentare.

Uno è più vicino alle sonorità techno-elettroniche da club, un’altro è più vicino al trip hop; Quello influenza la sua passione per la musica degli anni ’60 inserendone frangenti percussivi a 110 bpm (favoreggiando l’avvicinamento alla musica deep), quell’altro invece prende i suoni del suo primo computer degli anni ’90 e ne fa delle hit da Grammy Awards.
Alcuni sono dj.
Altri suonano live.
E’ pieno di band che parlano la lingua rock in mille maniere: un po’ più dark, un po’ più melodica, a volte un po’ più soporifera, altre volte un po’ meno da pogo.

Ed eccoci ad oggi, esattamente ad un mese dalla partenza verso il Portogallo, ad intrometterci ulteriormente fra i tasselli di un puzzle ancora da ricomporre nella sua interezza.
Introducendo uno degli artisti che più ci ha motivati ed essere presenti a questa edizione, siamo sicuri di non far torto a nessuno dicendo che si tratti del personaggio più rilevante (a livello sociale e concettuale) che la musica elettronica e l’umanità abbiano avuto negli ultimi 30 anni.

Stiamo girando attorno al nome di un mastodontico elemento nel suo settore musicale e di un essere vivente dal cervello sovradimensionato (non abbiamo cartelle cliniche che lo dimostrino, anche se i fatti lo hanno palesato molteplici volte).
Richard D. James.
Aphex Twin.

FOTO 1
Di quel che dice l’anagrafe importa poco a chiunque, in tutti i casi se n’è parlato anche fin troppo perdendo di vista i suoi trascorsi e le influenze che ne hanno forgiato il carattere.
E’ importante sapere pochi dettagli e fondamentali: è nato in un posto assai gradevole agli occhi, ma probabilmente ostile alla creazione di interazioni sociali, 45 anni fa.

Negli anni ’70, l’est dell’Irlanda (Limerick per la precisione) non era esattamente come Londra.
E nemmeno oggi presumo.
Aphex Twin potrebbe tranquillamente corrispondere allo stereotipo che chiunque di noi ha dell’amico che fa musica “che non piace a nessuno”.
Nella nostra umida, piccola e mentalmente chiusa città potremmo pensare questo anche se ci interfacciassimo con l’orecchio assoluto più sensibile mai esistito.
Ecco perché le menti fuggono.
Ecco perché Richard va a Londra dopo aver trascorso qualche anno con la famiglia a Lanner, in Gran Bretagna.

Prima di andarsene dalle verdi colline della Cornovaglia, incide un disco ritraente le prime atmosfere acid che di li a breve avrebbero poi segnato la sua ricerca stilistica.

FOTO 2

Gli anni di cui parliamo sono quelli in cui l’acid e alcune sfaccettature della house venivano a galla sotto sempre più forme, abbandonando i settaggi originali e in funzione degli sviluppi tecnologici grazie al quale è stato possibile realizzare alcuni crossover rivoluzionari fra drum ’n bass, IDM, acid e drill ’n bass.

Successivamente, inquadrato l’obbiettivo della carriera musicale, si trasferisce nella capitale inglese per inseguire il suo desiderio ed interpretare in maniera più pulita la propria percezione della musica.
Così nasce Rephlex, la label su cui potrà sperimentare per la prima volta la propagazione dei suoi suoni verso il pubblico.
Dal momento in cui un già artista emergente come Aphex Twin si iscrive al politecnico di Kingston, a quello in cui si ritira, il passo è breve.
Soprattutto se in mezzo a questa escalation creativa incrociamo qualche pubblicazione sulla allora recente Warp Records (label ancora all’apice del suo splendore, “sempreverde” sarebbe il termine più idoneo a definirla).

FOTO 3

Già dalla metà del 1990 Richard anticipa quella che poi sarebbe diventata la tendenza della nostra contemporaneità, ovvero l’utilizzo dei software per creare e riprodurre pattern melodici.
Immaginare la propria strumentazione semplificata in un semplice laptop è effettivamente molto comodo sotto molteplici punti di vista; Se però traslassimo questa immagine applicandola al termine del secolo scorso, potete facilmente immaginare quanto possa sembrare goffo e quasi disarticolato rispetto le circostanze abbracciate da Aphex Twin, in quei tempi.
Non si è mai parlato di una particolare affezione a qualche metodologia di riproduzione sonora, ma piuttosto di una matematica ricerca di come impegnare autonomamente lo svolgersi di ogni sovrapposizione di ritmiche e strumentazioni, nel velocissimo svolgersi di ogni traccia.
Si ritrova infatti nei suoi lavori una particolare presenza dei suoni acid, ma ogni volta trattati in maniera diversa (vedi le mutazioni che intercorrono nella serie di uscite sotto il nome Analogue Bubblebath fra 1991 e il 1993).

FOTO 4

Questa immagine è molto rappresentativa anche perché racconta una piccola parte del nostro messaggio: non siamo qui per fermarci su chi sia Aphex Twin o a dirvi se è meglio di altri o meno.
Qui è celato il significato della sua irriverente visione dei tempi e della parodica, ma allo stesso tempo della innovativa vena produttiva e comunicativa, su cui cavalcherà fiero verso la conquista della fama mondiale.
La relazione che stiamo cercando di presentarvi con NOS 2017 è facilmente rilevabile se si pensa ai successivi lavori dell’artista Irlandese.
La serie di Ep ed Albums sfornati fra il 1992 e il 2014 è una confusa stesura dei suoi connotati genetici: in questo grande lasso di tempo vediamo la prima esperienza Ambient nel ’92 con “Selected ambient works 85-92” (ambient come il genere di cui è padre e a cui dedicherà il volume II nel ‘94), oppure nel 1999 l’album “Windowlicker”, conferma della matematica ironia e della tendenza all’orrido grazie all’apparizione di un volto nella spettrogramma della traccia dal titolo “ΔMi−1 = −∂Σn=1NDi[n][Σj∈C{i}Fji[n − 1] + Fexti[[n−1]]”; due anni prima l’album “Come to daddy” preannuncia l’arrivo di una nuova collezione di 8 tracce che si sarebbero trasformate in un singolo, seguito poi da un video a rotazione continua su MTV; “…I care because you do” nel 1995 sempre su Warp, seguito solo un anno dopo da “Richard D. James Album”; passando per il disco self released “Melodies from Mars” nel ’95 e “Drukqs” nel 2001.
Vi starete chiedendo come mai abbiamo definito tutto questo come “confuso”, nonostante l’intenzione di Aphex Twin sia ormai chiaramente quella di portare sotto una chiave di lettura più intrigante ed intelligente i generi lambiti dai suoi samples.

Probabilmente perché dietro tutto il mistero e l’inventiva dell’artista, potrebbe essere accaduto che alcuni dei prodotti da noi catalogati in passato come “in perfetto equilibrio con l’album intero”, siano stati prodotti magari una decina di anni addietro, destabilizzando così l’ordine cronologico delle cose e tutti i trip che le migliaia di recensori possono essersi fatti notando particolari similitudini fra un pezzo ed un altro.

Così Richard si è spesso preso gioco di noi, sfruttando l’intelligenza e la sensibilità in ambito classico a sua favore, creando nuove connessioni fra una serie di generi che non esistevano in precedenza, oppure sfruttati solo al 30% del loro reale potenziale espressivo (noto a noi oggi nella sua interezza, aimè).

FOTO 5

Ci lasciamo con la foto simbolo del suo ultimo successo mediatico.
Quella volta in cui, nel 2014, decise di lanciare l’album “Syro” con due semplici mosse: in primis la diffusione di scarse informazioni come una lista di 12 titoli ritraenti cose con poco senso apparente (classico stile Aphex Twin) e di una data, seguite poi dal lancio di dirigibili ritraenti il famoso logo disegnato da Paul Nicholson.

A questo punto abbandoniamo ogni timore relativo al nesso fra NOS 2017 e il producer Irlandese: abbiamo capito che per lui, dove si parla di musica che conta, lo spazio si trova sempre.

 

words by Sergio Creep

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