PVP – David Lynch: Twin Peaks, The Return.

md-romero
Tempo di lettura: 6' min
25 September 2017
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Twin Peaks si è concluso. La serie che ha rivoluzionato la televisione è tornata per un lungometraggio di 18 ore diviso in parti, alzando l’asticella dello standard qualitativo ancora più in alto. Siamo lontani dall’operazione nostalgia che molti si aspettavano (e, ingenuamente, ci speravano), al suo posto abbiamo avuto 18 parti di un dramma onirico, che riflette intimamente sul male della razza umana con una narrazione non convenzionale, disgiunta, riflessiva, in cui gli effetti speciali riprendono la pittura su fotografia e lo stop motion, affidandosi ad un uso della CGI prima maniera, capace di creare paesaggi statici, irreali e immateriali.

È stato un Kolossal dell’onirico, quello a cui ci siamo trovati di fronte. Un Kolossal a cui confronto, a conti fatti, Inland Empire, l’ultimo lungometraggio del regista, è stato un esperimento preparatorio. L’influenza di Inland Empire in Twin Peaks The Return, è forte più della serie originale dalla quale si riprende esclusivamente la narrazione lasciata con il cliffhanger della seconda stagione.

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David Lynch, artista a tutto tondo, in questo suo ultimo lavoro mette in gioco ogni sua parte, creando un capolavoro che funziona a più livelli di interpretazione divenendo de facto il primo film veramente tridimensionale che sia mai stato concepito, dove nessuna parte è lasciata al caso e tutto, perfino i media collaterali ( si pensi al sito web del personaggio di Bill Hastings http://thesearchforthezone.com/) sono parte essenziale ed integrante mettendo nelle mani dello spettatore l’onere di decifrare il mistero.

Assieme al vecchio cast e a diverse, fantastiche aggiunte (uno per tutti l’australiano Eamon Farren nel ruolo di Richard Horne ) Lynch riprende la sua collaborazione storica con Angelo Badalamenti con cui curerà lo score e il sonoro. Infatti The Return è un’esperienza cinematografica quanto un’esperienza musicale con quasi ogni episodio (Fanno eccezione il primo e l’ultimo) contenenti una live performance di una band. Abbiamo già accennato ai Chromatics nell’articolo precedente, ma sono stati solo una delle tante sorprese che il palco del Roadhouse ci ha riservato in un misto fra synthwave, country, folk e hard rock fra cui vale la pena citare i Nine Inch Nails con She’s Gone Away nell’episodio 8 appena prima di uno dei momenti più visionari e sconvolgenti della storia della cinematografia e la performance rivelatoria di Eddie Vedder dei Pearl Jam, qui come solista (E presentato con il suo vero nome Edward Louis Stevenson III) che canta Out of Sands. Il concerto finale al Roadhouse è affidato alla storica collaboratrice di Lynch Julee Cruise e la sua voce fuori dal tempo con The World Spins e non poteva mancare la meravigliosa e commovente performance di Rebekah Del Rio con No Stars all’episodio 9. Ogni brano sembra fungere almeno in maniera parziale da chiave di lettura per l’episodio, sia a livello emotivo che a livello di significato e contribuiscono a dare un sollievo e un senso di completezza ad ogni episodio, contro la tendenza che vuole lo spettatore perennemente sulle spine, perso fra un cliffhanger e l’altro, in costante stress emotivo e morbosa curiosità per le sorti dei personaggi. Lynch sconvolge questo processo e riempie lo spettatore di spunti di riflessione, mentre aspetta la parte seguente, tenendolo occupato ad analizzare cosa sia successo piuttosto che cosa accadrà dopo, dandoci modo di assaporare la scena, momento per momento e distenderci al suono di grandi artisti mentre metabolizziamo il tutto.

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Ma Twin Peaks si fonda su un concetto chiave. Il doppio, il gemello, il numero 2. Due Cooper, due sceriffi Truman, due mondi, due logge, due entità e anche due colonne sonore. Se “Music from the limited event series”, quello che viene definito il disco rosso, forma la raccolta delle performance del Roadhouse e dei brani organicamente visti ed ascoltati nel corso della serie, il disco verde “Limited event series Soundrack” è invece lo score vero e proprio, un contrappunto musicale ad alto livello sperimentale in cui Badalamenti e Lynch danno il meglio di loro stessi. Il Doppelganger di Cooper viene presentato con un pezzo dei Muddy Magnolias, American Woman,  remixato dallo stesso Lynch, brano che tornerà quando Diane getterà la maschera davanti a Cole, Albert e Tammy (la cantante di indubbio talento Chrysta Bell, un altro artista musicale reclutato dall’FBI dopo David Bowie e Chris Isaac). L’intervento dei Woodsmen sul cadavere del Doppelganger è uno spettrale e funebre pianoforte che nasconde, nella sua lentezza esasperata e inquietante, la romantica e malinconica Klaviersonate N°14 o più comunemente nota come Sonata al chiaro di luna di Beethoven (basta velocizzare la traccia per rendersene conto, si ringrazia Johanne G.Cole per la segnalazione) e nello stesso episodio, la già sopracitata parte 8, durante la ricostruzione visionaria del test trinity e l’esplosione della prima bomba atomica, origine e personificazione della volontà di distruggere dell’essere umano, abbiamo la sconvolgente Threnody for the victims of Hiroshima del compositore russo Krysztof Penderecki ed eseguita da Witold Rowicki che nella sua straziante dissonanza, la cui ritmica è scandita non in battiti ma in secondi, è l’accompagnamento ideale per la genesi del male più oscuro che in Lynch assume toni metafisici. A contrapporre il caos del male c’è l’atmosfera fuori dal tempo della loggia bianca dove viene generata l’arma con cui combattere il male avvolta dalle note di Badalamenti con Slow 30’s Room che rimanda ad un atmosfera da primi del novecento, persa nelle nebbie del tempo e che introduce nella sua calma un senso di immota nostalgia, acuito dall’inconfondibile suono della puntina sul vinile.

I temi storici della serie compaiono qualche istante nel corso di una serie percorsa da grandi silenzi e da inquietanti scricchiolii elettrici, per momenti di grande significato narrativo, come il risveglio di Dale Cooper dal suo stato catatonico di Dougie Jones e il momento, totalmente estraniante in cui, al Roadhouse Audrey Horne viene chiamata in mezzo alla pista da ballo per danzare sulle note dell’omonimo Audrey’s Dance della serie originale, rompendo in maniera sottile e sinistra la quarta parete con lo spettatore. Il tema verrà riproposto nei titoli di coda dello stesso episodio, il 16 in reverse, ricalcando la dinamica a nastro di Moebius già vista in strade perdute. La serie si chiude con Angelo Badalamenti e l’enigmatico e malinconico brano Dark Space Low sul fermo immagine di Laura, nell’atto di sussurrare un nuovo enigma all’orecchio di Dale Cooper. Il nostro senso di smarrimento trova, nelle note di Angelo, un amplificazione che diventa struggente.

L’attenzione che David Lynch richiede per analizzare la sua opera in tutte le sue parti ha portato l’affiorare della teoria del synching: guardando episodio 17 e 18 in sincrono, si genererebbe un episodio unico, le cui immagini e soprattutto le sonorità sovrapposte porterebbero a nuovi e profondi significati (interessante il momento in cui lo score durante lo scontro finale con Bob nell’episodio 17 si sovrapponga alla perfezione con l’arrivo del personaggio di Kyle McLachlan (non diremo quale) a Judy’s nella città di Odessa. Siamo di fronte ad un’opera complessa che sta impegnando molti appassionati alla decifrazione, dove la critica tradizionale ha subito una profonda battuta d’arresto e sta ancora vagando confusa, a causa della sua mancata preparazione nell’affrontare prodotti non convenzionali. Un interessante esempio sta nell’episodio 18: il personaggio di Diane, porta un’acconciatura non dissimile da Marjorie Cameron, occultista, attrice e moglie dello scienziato missilistico Jack Parsons introdotto nel corpus di Twin Peaks attraverso il libro di Frost “Le vite segrete di Twin Peaks”. Seguace di Crowley, Marjorie Cameron è stata una fervente sostenitrice della Sexual Magick ed ha partecipato a Inauguration of the pleasure dome di Kenneth Anger interpretando Kalì e La Donna Scarlatta in un ruolo centrale con riferimenti espliciti alla dottrina di Crowley. Questo parallelo fra la Cameron e il personaggio della Dern è un ottimo spunto di riflessione in quanto, in Thelema, L’orgasmo femminile è un veicolo per sprigionare energia necessaria per compiere riti magici di grande portata. La scena di sesso (Elemento sempre negativo o ambivalente nei film di Lynch) priva di sentimenti fra Kyle McLachlan e Laura Dern, coadiuvata dal sync con l’episodio 17 acquista un grandissimo valore simbolico.

Eventuali ulteriori chiavi di lettura ci saranno date a fine ottobre con The Final Dossier, il libro di Mark Frost che avrà l’onere gravoso di essere il punto finale di una serie di culto fra le più complesse, innovative ed affascinanti della storia del cinema. Un’esperienza che coinvolge a pieno regime tutti i sensi e spinge a profondi ragionamenti, creando, grazie ai social, una coscienza collettiva che passo dopo passo sta decifrando il mistero.

Dopo un’esperienza cinematografica di questo livello possiamo solo ringraziare David Lynch per non aver sottovalutato il suo pubblico ed averci regalato un’opera d’arte che, sia essa il suo canto del cigno o meno, è attualmente il punto più alto non solo della carriera del regista ma anche in campo filmico e musicale da cui non mancheranno di spuntare pallide imitazioni negli anni a venire.

 

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