Chiuso per tasse. Quando la club culture non è cultura.

richard
Tempo di lettura: 4' min
19 December 2018
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Il Cocoricò chiuso per tasse è l’ennesima dimostrazione che in Italia il clubbing è semplicemente un altro settore da spremere come un limone

È giusto di qualche giorno fa la notizia riguardante il Cocoricò che rischia di vedersi sospendere la licenza e tenere chiuso per ben tre mesi – saltando così la data di capodanno – a causa di una tassa sui rifiuti non pagata. Inizialmente si era parlato di una cifra esorbitante di alcune centinaia di migliaia di euro, ridimensionata poi da alcune dichiarazioni fatte da Fabrizio De Meis, l’attuale proprietario del locale. Secondo il sindaco di Riccione, Renata Tosi, pare che non sia stata pagata nemmeno una rata della tari del 2018 e che diversi contenziosi si protraggano dal 2010, facendo applicare così il massimo della sanzione prevista. Dal canto suo De Meis ha dichiarato di aver avuto già degli accordi e di essere disposto a far fronte agli impegni e saldare il debito oltre a fare ricorso valutando la possibilità di richiedere un risarcimento poiché il danno economico dato dal clima di incertezza sul capodanno non favorisce la prevendita delle prenotazioni. Insomma, questa diatriba al momento lascia molti dubbi sull’effettivo svolgimento della serata in programma per il 31 dicembre e di cui – se confermata – potete gustarvi qui la line up.

Ora mettiamo subito un paletto: che le tasse le debbano pagare tutti siamo d’accordo, no? Come siamo tutti d’accordo sul fatto che chiudere uno dei più grandi club italiani durante i suoi periodi più proficui non sia certo il modo migliore per permettergli di risanare i debiti con l’amministrazione comunale.

Tuttavia senza scendere nel merito di chi abbia più ragione tra il Cocco e l’amministrazione di Riccione, questo quadro non fa altro che riportarci ad un altro tema fondamentale: l’annosa questione di come in Italia il clubbing non sia visto come un fattore culturale ed economico da preservare e incentivare ma sia trattato invece alla stregua di una qualsiasi altra attività da spremere fino al midollo tra tasse elevate, sanzioni, balzelli e imposizioni varie. Se non a volte come un’emergenza sociale vera e propria, dalle famigerate stragi del sabato sera ai recenti fatti di Ancona. La battaglia morale contro la club culture da che ne ho memoria risale ai primi anni duemila, quando al governo c’era l’esecutivo di Silvio Berlusconi e come ministro per i rapporti con il parlamento c’era Carlo Giovanardi. Già, proprio quel Carlo Giovanardi. È a lui che il sindacato dei gestori di locali notturni chiese che venissero destinati loro dei fondi del governo per migliorare la situazione. Tra le richieste ci fu l’abolizione dell’imposta sugli intrattenimenti, la riduzione dell’iva per chi avrebbe adeguato il locale a determinati standard qualitativi, la possibilità di assumere giovani come lavoratori para-subordinati nel settore dello spettacolo e, cosa più importante, chiesero degli incentivi per dotare di sistemi di sicurezza sofisticati (leggasi metal detector all’ingresso) le discoteche più a rischio. Eh si, proprio quelle cose che il popolo di internet chiede a gran voce dopo la tragedia di Ancona.

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goat serious club

Ad ogni modo qui si parla di circa vent’anni fa. Ovviamente quasi nulla fu fatto e Giovanardi propose un disegno di legge voluto a proibire gli “after hours”, fissare orari di chiusura rigorosi e validi per tutti, imporre il divieto di servire alcolici da una certa ora in poi (regola che diventò comunque legge qualche anno dopo) e una serie di regolamentazioni sull’utilizzo di luci psichedeliche e sull’acustica nelle sale da ballo. Fortunatamente all’epoca il disegno di legge di Giovanardi venne bocciato per un solo voto, lasciando invece un emendamento che permetteva ai sindaci italiani di stabilire l’orario di chiusura delle discoteche sui singoli territori. Un quadro abbastanza desolante se sommato al fatto che tutt’ora non esiste nessuna forma specifica di incentivi o finanziamenti agevolati per chi decida di intraprendere un’attività imprenditoriale nel campo del divertimento notturno. Tutto questo, unito all’impatto della crisi economica del 2008, ha portato ad un dimezzamento del numero delle discoteche e dei club in Italia, molti dei quali per sopravvivere si sono convertiti a circoli privati, favoriti dagli sgravi fiscali riservati all’associazionismo.

 

Ma la cosa più triste di tutta questa faccenda è che un altro mondo è possibile.

 

Restando in Europa e senza andare troppo lontano, l’anno scorso in Germania il governo ha promesso un milione di euro per aiutare i locali notturni a dotarsi di un’adeguata protezione dal rumore. Citando testualmente un articolo di Mixmag, l’obiettivo del fondo di protezione dal rumore è di “preservare la cultura del club di Berlino promuovendo misure di abbattimento del rumore e assicurando la compatibilità a lungo termine dello spazio abitativo e delle attività del club nelle immediate vicinanze”. Pare che dal 2011, solo a Berlino circa 170 club siano stati costretti a chiudere, e la speranza è che questa nuova iniziativa possa aiutare a risolvere le situazioni di conflitto tra residenti e locali notturni nei quartieri. Le ristrutturazioni coperte dai fondi statali sarebbero finalizzate all’installazione di barriere antirumore nelle aree esterne, oltre a finestre insonorizzate per i residenti. Tramite questo sito sarà possibile inoltrare la domanda, questa verrebbe poi analizzata da un team di esperti che deciderà o meno sulla sua approvazione. In Italia una scelta simile rasenterebbe la fantascienza, ma non è la prima volta che la Germania dà lezioni al mondo sulla gestione della ‘club culture’ come un vero e proprio ramo turistico della propria economia.

Se nulla però ci impedisce di sperare in un futuro in cui anche in Italia la scena del clubbing e della musica dal vivo in generale inizino ad essere considerati motori economici, lo spaesamento dimostrato dall’attuale politica nostrana sembrerebbe far allontanare ulteriormente queste prospettive… Basti pensare all’intenzione espressa lunedì scorso dal ministero guidato da Alberto Bonisoli di escludere lo spettacolo dal vivo dal bonus 18, smentita per fortuna dopo poche ore.

Un altro mondo è possibile, già, anche se al momento ci sembra distante anni luce.

 

Pics: Polpetta Mag®

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