PVP – Marilyn Manson: Dope Hat.

md-romero
Tempo di lettura: 3' min
21 December 2016
In primo piano, POLPETTA VIDEO PASSION

Se andiamo a riprendere la necessità, o meglio l’obbligo morale di dissacrare quello che è il sogno americano, della generazione degli anni 90 non possiamo non citare il terzo videoclip di uno dei moderni mostri sacri della musica: Il re dello Shock Rock, sua (ex) eminenza Marilyn Manson.
Nel 1994, viene pubblicato l’album d’esordio di Manson dal titolo, Portrait of an American Family, la stessa copertina, lontana anni luce da quello che saranno i concept degli album successivi, brutalmente più raffinati ed eleganti, mostra una caricatura deforme, di Burtoniana memoria, di una famiglia white trash con madre obesa, padre con birra in mano, paglia fra i denti e sguardo truce, figlio con sorriso beota e scimmia fra le braccia e infante nudo ai piedi del divano, tutti in posa per un improbabile ritratto.

L’album propone un rock alternativo, con sonorità psichedeliche, e testi che affondano la punta della lama proprio nelle supposte pleasantville americane, in quei nuclei famigliari già visti in Black Hole Sun dei SoundGarden. Solo a tratti emerge quello che sarà il Manson monumentale e grandguignolesco di Antichrist Superstar, soffocate da uno stile punk rock che alcuni ex fedelissimi della prima ora rimpiangono svilendo il processo di crescita di un artista che è stato negli anni un iconoclasta straordinario
Di rielaborazione infatti andiamo a parlare in DOPE HAT, terzo singolo di portrait of an american family e primo video in cui Manson palesa il suo essere istrione.

In una parodia de La Fabbrica di Cioccolato, storico ed amatissimo film con il recentemente scomparso Gene Wilder, vediamo Manson e la sua band suonare sulla barca di Willy Wonka, manovrata dagli immancabili Oompa Loompa, in un fiume di cioccolato nell’idilliaco scenario di caramelle e gattini verso un volto umano le cui fauci, tutt’altro che umane, masticano il cioccolato senza sosta. Quello che aspetta gli ignari mocciosi è un viaggio su un fiume di sangue, in un tunnel sulle cui pareti scorrono scene paradossali e disturbanti simili ad un incubo da droga (di trip da droga infatti parla la canzone) fra cui un melone affettato da cui escono pesci rossi vivi, una mano con sul palmo un occhio, una pagnotta con un topo di laboratorio al posto della mollica e via dicendo.

Fra balletti e siparietti degli Oompa Loompa e i volti sconvolti dei giovanotti usciti da Pleasantville, abbiamo un Manson nei panni di un improbabile Willy Wonka che delira fra euforia, rabbia e terrore sfogandosi sui passeggeri.
Diretto da Tom Stern (co-regista assieme ad Alex Winter del sottovalutatissimo Freaked di cui alcune tematiche American Horror Story: Freak Show è ingrato debitore) il video è il primo ad inquadrare perfettamente il personaggio Manson in un contesto vicino alla sua musica e alle sue performance future (dei primi due Get Your Gunn è un semplice video in una soffitta mentre Lunchbox, come la canzone, si riferisce all’infanzia di Manson e ne riprende il contesto urban e Punk rock) e fu senz’altro il primo momento in cui gli spettatori di MTV videro Manson come qualcosa di diverso, di iconoclasta e di orrorifico.

Il freak androgino, equivoco e folle che corrompe le menti della meglio gioventù verso piaceri proibiti. Gli effetti speciali, curati da Xavier Guerin sfruttano le al tempo nuove tecnologie di computer grafica per il fiume e la caverna, assieme al più classico rotoscopio e immagini ed effetti in post produzione che rimandano ai videoclip educativi degli anni 70 per ragazzi. La fotografia è sporca, per non dire lurida e si sposa bene con le scenografie dando quel feel di cinema d’exploitation d’annata che tanto sta tornando in voga nelle produzioni indie (e raramente è reso decentemente).

Il video di Dope Hat è spesso dimenticato rispetto ai monumentali, The beautiful people, The Nobodies, Coma White o The dope show perché, come per l’album da cui è tratto, fa parte di un Proto Marilyn Manson.

È embrionale e profondamente ingenuo ma è necessario per capire lo spirito dell’epoca. Se ora come ora Charlie e la fabbrica di cioccolato è stato (ri)scoperto dai cinefili hipster in risposta al degno Remake di Tim Burton, all’epoca di Dope Hat, il Willy Wonka di Gene Wilder era l’ennesimo film pedagogico dell’infanzia della generazione di Manson in avanti, in un era in cui la televisione iniziava a diventare madre e maestra, i film natalizi passi di vangelo e il senso di vita, amore, sessualità, etica e morale venivano affidati a lavori di regia (indimenticabile la parodia sulla stagione 3 dei Simpson con il filmino sull’educazione sessuale in “l’amico di Bart si innamora”) piuttosto che a persone in carne ed ossa.

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