Non è più un mistero che l’American Dream sia una delle più grandi menzogne della storia del ventesimo secolo dopo le armi di distruzione di massa in mano al vecchio Hussein per giustificare l’invasione dell’Iraq.
Quell’idillio nato dall’avidità dei Roaring 20ies e concretizzatosi nello stereotipo della perfetta borghesia bianca statunitense durante l’Atomic age ormai è stato smascherato, messo a nudo nella sua peggiore ipocrisia mostrando una realtà nevrotica e perversa. Quell’ambiente opulento ma casalingo, consumista ma pregno di valori cristiani è sempre risultato una forzatura, una realtà fasulla che termina con le mura domestiche mentre all’esterno il caos regna.
La destrutturazione mediatica della famiglia americana inizia dalla cronaca, dagli Ed Gain, dagli Wayne Gacy, dai Jeffrey Dahmer. Assassini seriali e perversi nel cuore della perfezione statunitense. Non è un caso che il “Red Dragon” di Thomas Harris metta in scena un serial killer su un livello ancora superiore rispetto a quelli in circolazione nella realtà: Dolarhyde, o il drago rosso, non rapisce ed uccide persone sole ma penetra nelle case di perfette famiglie americane, elimina l’animale domestico e poi i figli con precisione chirurgica, neutralizza il padre di famiglia e poi, davanti ad un pubblico di cadaveri a cui sono stati applicati frammenti di vetro negli occhi per potercisi specchiare, il drago abusa in maniera animalesca e brutale della madre. L’orrore più puro di Red Dragon è proprio questo, la dissacrazione fisica e totale della madre e moglie, figura perfetta e servile, oggetto e pilastro dell’american dream.
La metafora è palese. Ma, come abbiamo già visto in precedenza con il caso di Rob Zombie, tanti sono stati gli autori ed artisti che hanno evidenziato le ipocrisie e le deviazioni della famiglia americana, dal David Lynch di Velluto Blu, a Todd Solondz con il suo Happiness ( e di rimando Mendes con American Beauty) per non parlare di Lynne Ramsay con We need to talk about Kevin con la sempre bravissima Tilda Swinton. Di esempi potremmo farne a bizzeffe ma è dato di fatto che la perfezione intesa come famiglia composta da individui bianchi eterosessuali medio borghesi benestanti e cristiani sia un concetto che rifiuta di morire nonostante le continue rivoluzioni culturali e non di certo sarà l’ultima volta che ne discuteremo ( per inciso i consigli cinematografici che chi scrive infila in questo nostro appuntamento sono sempre da seguire, non ve ne pentirete).
Questa settimana per una nuova puntata di “Demoliamo i valori della borghesia statunitense” abbiamo alla mazza uno dei simboli del movimento Retrowave, Com Truise con il suo pezzo Synthwave “Propagation” dall’album Iteration uscito a Giugno di quest’anno.
Scritto e diretto da Will Joines e Karrie Crouse, il video di Propagation mette al centro di uno statico e ricorrente ( ai limiti dell’ossessività) scenario domestico una donna ( l’attrice Trieste Kelly Dunn), casalinga modello al servizio del marito (Stephen O’Reilly attore e musicista). La casa è di una pulizia e perfezione che rasenta l’ossessività. La moglie compie gesti quotidiani sempre allo stesso modo, con un automatismo senz’anima.
Bacia il marito, lo saluta dalla finestra, stira le sue camicie, prepara la cena, lo attende fissando il vuoto sul divano, gli porge gli asciugamani mentre lui sguazza in piscina e gli si concede in maniera passiva ogni sera. Abbiamo di fronte una creatura in gabbia che compie ogni giorno gli stessi gesti, eccetto che potrebbe non trattarsi di una creatura. Mentre il marito dorme quasi vediamo la donna infilare una maschera che propaga luci al neon. Lei non ne ha memoria ma il suo sguardo inizia a farle nutrire alcuni dubbi sulla sua natura. Una mattina non si alza per salutare il marito, le sue camicie sono sull’asse, senza essere stirate. Ha trovato una brochure in casa, qualcosa che la riguarda. Lei rimane a letto, fissa il vuoto spaventata, dentro la donna immagini si fanno strada.
La vediamo distesa sul pavimento, mentre una copia di sè stessa le pratica sesso orale da sotto la gonna. Vediamo ancora tante sè stesse nello stesso salotto, tante copie, fatte in serie. Riprodotte. Una notte la maschera dal neon blu propaga neon rossi. La vediamo appoggiare la mano sul ferro da stiro bollente senza fare una piega. Mentre prepara la cena decide di tagliarsi senza sentire alcun dolore. La realtà è chiara. Lei è stata fabbricata, prodotta e venduta per servire un essere umano. Lei non è umana, è un automa. Affoga il marito nella piscina e riprende a compiere le sue mansioni, con gli occhi inondati di nero. La vediamo simulare del sesso da posizione attiva con la maschera al neon, stirarsi addosso la camicia del marito morto e continuare a salutare la mattina qualcuno che ora giace a marcire nella piscina.
Oltre al fatto che il video riprende concetti della serie come Black Mirror e il cult Blade Runner ed Ex Machina senza contare l’effetto Uncanny Valley, una teoria di robotica di Masahiro Mori (nel 1970 e proseguita ai giorni nostri) per cui l’iniziale attrazione nei confronti di umani verso androidi (e viceversa) raggiunge un picco esponenziale nel momento di massima somiglianza fra le due entità fino ad un brusco calo che può arrivare ad effetti negativi come repulsione, odio ed inquietudine e reazioni conseguentemente violente, abbiamo la grandiosa ed elegante metafora del ruolo della donna come casalinga che vive in una gabbia in una routine alienante non dissimile da quella di un automa, senza avere contatti con il mondo esterno e in cui anche la minima presa di coscienza diventa un evento purtroppo catastrofico (solitamente associato con la visione di una realtà diversa dalla propria). Il video di Propagation mette in luce una falla fatale nel sogno borghese: la donna è oggetto, arredamento funzionale alle mura domestiche per l’uomo (il personaggio di Stephen O’Reilly è chiaramente un uomo in carriera, possibilmente un dirigente) e la sua visione di paradiso dettata dalle norme sulla morale Maccartista.
C’è un’altra tematica che sorge dal video, ancor più distopica ma sorprendentemente attuale. Il progresso fatto nel campo della robotica per quanto riguarda l’intrattenimento per adulti. Negli ultimi anni sono state fabbricate Sex Dolls sempre più realistiche e funzionali, implementando funzioni basilari di intelligenza artificiale per avere una interazione più completa fra acquirente e prodotto.
C’è attualmente un lungo dibattito in corso riguardo alla posizione di questi prodotti (di altissima qualità e altissimo costo) dove da un lato vengono considerate come valvole di sfogo che potrebbero ridurre i problemi di stupro, femminicidio e quant’altro, dall’altro questo porterebbe ad un’ulteriore oggettificazione della donna facendo propendere l’uomo a sostituire la compagnia di un essere umano in carne ed ossa con un essere artificiale docile e servile, mettendo in luce ulteriormente la ragione, ad avviso di chi scrive, squallida per cui un uomo decida di avere una compagna ovvero sfogare le sue pulsioni sessuali regolarmente ed avere la casa in ordine.
Si arriverebbe quindi, fenomeno Uncanny Valley permettendo, ad una estrema snaturazione dei rapporti umani in favore del funzionalismo che, purtroppo è in una misura sempre esistito ed è sempre più difficile da scardinare.
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