PVP – 2PAC: Ghetto Gospel.

md-romero
Tempo di lettura: 7' min
13 September 2017
POLPETTA VIDEO PASSION
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Il 7 Settembre 1996, a Las Vegas, una Cadillac bianca si accosta alla BMW del produttore della Death Row Suge Knight. Dal veicolo partono diversi colpi di pistola che feriscono in maniera mortale il rapper Tupac Shakur. Tupac verrà portato all’ospedale dove morirà il giorno 13 Settembre 1996 alle ore 16:03 dopo sei giorni in terapia intensiva.
Parlare della morte di un personaggio come Tupac è sempre dura, soprattutto perché non è stata fatta giustizia alcuna. Dell’omicidio sono stato incolpati una divisione di Compton dei Crips con cui Tupac aveva discusso qualche ora prima, l’ex amico e rivale Notorious B.I.G. già accusato (senza alcuna prova) di essere il mandante di un attentato alla vita di Tupac nel 1994, lo stesso Suge Knight che avrebbe orchestrato il tutto, la polizia e perfino il governo degli Stati Uniti. All’oggi il mistero non ha alcuna soluzione come non ha soluzione la morte, avvenuta poco tempo dopo di Wallace, AKA Notorious B.I.G.
Per capire l’importanza di far luce sulla morte di un personaggio come Tupac è necessario tenere presente il periodo di odio razziale in cui erano precipitati gli Stati Uniti durante il periodo in cui Shakur era ai vertici delle classifiche.
Primo ed emblematico caso fu il pestaggio del taxista Rodney King avvenuto il 3 Marzo 1991. Rodney era colpevole di non essersi fermato all’alt di una pattuglia della polizia mentre trasportava dei passeggeri, con conseguente improbabile inseguimento da parte delle forze dell’ordine, in cui fu chiamato anche un elicottero di supporto. Fermatosi e capendo che la situazione era seria Rodney cercò di sdrammatizzare. La risposta fu un violento pestaggio che venne ampiamente documentato anche grazie ai testimoni sul sedile del passeggero. Il caso, arrivato in tribunale, vide i poliziotti colpevoli del pestaggio venire clamorosamente assolti. L’assoluzione scatenò quel fatto storico noto come la rivolta di Los Angeles dove al grido Fuck the Police (dal pezzo dei N.W.A.) migliaia di membri della comunità afroamericana scesero in strada per protestare e per sfogare secoli di soprusi.

Le vittime in totale furono 54 parte dei quali da imputarsi alla polizia e all’esercito, migliaia di feriti e oltre un milione di dollari di danni oltre ad aver paralizzato per sei giorni la città di Los Angeles. Chi scrive vorrebbe far riflettere il lettore sui focolai di proteste contro la brutalità della polizia americana seguite (più o meno obiettivamente) dai media negli ultimi anni e che traesse le sue conclusioni.
Secondo caso che aumentò le tensioni razziali fu il famigerato e assurdo processo a O.J. Simpson. Vero e proprio circo mediatico che vide l’ex star del football e amato attore di commedie come The Naked Gun (da noi una pallottola spuntata) accusato di un truce omicidio ai danni dell’ex moglie, la bionda Nicole Brown e l’amico Ronald Goldman in data 13 Giugno 1994. Il processo degenerò ben presto in una questione razziale in quanto O.J. Simpson fu arrestato da poliziotti simpatizzanti del movimento supremazista bianco e uno degli avvocati della difesa, l’allora semisconosciuto Johnnie Cochran, spinse sull’accanimento delle forze dell’ordine bianche nei confronti di O.J. Simpson, nero, accusando di aver falsificato diverse prove e inquinato la scena del delitto, costruendo una vera e propria teoria cospiratoria attorno all’omicidio. L’omicidio, durante il processo finì per passare in secondo piano lasciando il posto ad una polemica di tipo razziale dove la rappresentante dell’accusa Marcia Clark (donna, bianca e divorziata) fu attaccata in maniera pesante anche sul piano personale.

Il verdetto, quasi un anno dopo, dichiarò che O.J. Simpson, alla luce dei fatti palesemente colpevole, era innocente, provocando scalpore. Perfino parte della comunità afroamericana, reduce degli abusi visti nei confronti di Rodney King e nelle conseguenti rivolte, nonostante fosse incline a sostenere la tesi di Cochran per cui persisteva una cospirazione a sfondo razziale da parte della polizia, ammise che era il capitale di O.J. Simpson (amico di bianchi, totalmente caucasicizzato, quanto più possibile lontano dalla cultura afroamericana tanto che gli avvocati introdussero elementi etnici nella sua villa in vista di un sopralluogo della giuria, ma soprattutto sposato ad una donna bianca) ad aver fatto in modo che finisse a piede libero, lasciando de facto, il caso insoluto.
Un anno dopo il verdetto Simpson, Tupac Shakur muore. Muore dopo essere sopravvissuto ad un attentato nel 1994 ed essere scagionato da infamanti accuse di stupro nel 1993. Muore con accanto la madre Afeni Shakur, attivista per i diritti degli afroamericani. Tupac muore a 25 anni, appena un quarto di secolo, dopo aver combattuto in un decennio, quello degli anni 90 segnato da grandi ipocrisie e grandi tensioni.

Ma Tupac non è morto.

Molti addirittura teorizzano che abbia simulato la sua morte e sia ancora là fuori, vivo e vegeto e in salute. Un’illusione questa generata dal fatto di aver perso una grande personalità a livello artistico e umanitario, vicino alla comunità afroamericana, a differenza di molti altri che, una volta raggiunto il successo si chiudono in torri d’avorio negando ogni responsabilità (chi scrive si riferisce a Lil Wayne, che lo scorso anno dichiarò di non avere alcun interesse nei problemi della comunità afroamericana, al fan della golden shower con minorenni R-Kelly e al sempre detestato Kanye West. Fatevene una ragione, qui non si parlerà mai bene di lui).

Tupac è morto ma il suo spirito vive ancora e non è dimenticato. L’album postumo, Loyal to the Game, vede la luce nel 2004 grazie agli sforzi della Shady Records, in collaborazione con Afeni Shakur. Marshall Mathers III, il bianco considerato da una parte dell’industria dell’Hip Hop indegno di far parte del business (il feud col produttore Benzino era ancora molto forte) resuscita Tupac Shakur utilizzando registrazioni inedite del cantante assieme a materiale ex novo registrato dagli artisti della Shady Records ( fra cui spiccano Obie Trice, Nate Dogg, G-Unit e Dido) creando un meraviglioso omaggio il cui ricavato andò a finanziare, come per il resto della discografia, il Tupac Shakur Center for the arts, che aveva lo scopo di formare giovani artisti tenendo conto anche delle loro difficoltà economiche (il centro chiuse nel 2015 per mancanza di fondi dopo 18 anni di attività, questo succede quando comprate gli album di Kanye West, signori).
Il pezzo di cui andiamo a parlare, dopo questo lungo ma necessario incipit è Ghetto Gospel, secondo singolo di Loyal to the game e unico brano ad avere un videoclip, che è lo scopo di questo nostro excursus.
Ore 10:04 P.M.

Una giovane madre piange sul figlio morto, ucciso a sangue freddo fuori da un ristorante di quartiere. ore nove del mattino dello stesso giorno. Il giovane si sveglia, fa colazione assieme alla madre, religiosa devota che lo guarda con apprensione. Vediamo il figlio passare la giornata nel ghetto, il suo luogo di ritrovo è un locale malfamato e piazza di spaccio proprio di fronte alla chiesa che frequenta la madre. Il pomeriggio il giovane va a trovare la fidanzata dove gioca con quello che può essere il figlio o il fratello minore della ragazza e passa un momento d’intimità. Al tramonto, il ragazzo, di fronte a Los Angeles spalanca le braccia, come ad abbracciare una metropoli che sente di amare. Intanto l’ora in sovrimpressione compare ad intervalli regolare, scandendo l’avvicinarsi dell’inevitabile. Arriva notte, un furgone con i vetri oscurati accosta di fronte alla piazza di spaccio frequentata dal giovane. Vengono esplosi dei colpi. Il SUV riparte. Il ragazzo, intanto è qualche isolato più giù fuori da un ristorante che sta cenando. Per un istante speriamo che non sia lui la vittima che abbiamo visto all’inizio ma questo, non accade. Il SUV arriva e altri colpi vengono esplosi. Il cerchio si chiude e la scena iniziale, in cui la madre vede il figlio a terra viene riproposta.
Il giorno del funerale, la madre in lutto sta per entrare in chiesa. Si volta e per un istante rivede il figlio vivo dall’altro lato della strada al solito posto. Sorridente.
Il video si conclude con un messaggio di Afeni Shakur “Remember to keep yourself alive, there’s nothing more important than that”.
Ghetto Gospel arriva in un momento musicalmente particolare, quasi contemporaneamente esce Like Toy Soldiers di Eminem, dove si riflette delle conseguenze nefaste delle rivalità nella musica Hip Hop (Nel video si vede la morte dell’amico e collega Proof che tristemente morirà in circostanze analoghe qualche anno dopo) e mentre l’amministrazione Bush mette a ferro e fuoco L’Iraq e contribuisce plasmare il mondo di odio e diffidenza in cui viviamo oggi, il mondo del rap, bollato come istigatore di violenza e criminalità issa bandiere bianche e incita alla riunione, alla fratellanza, al deporre le armi.

Un periodo in cui il giovane 50 Cent finisce in BlackList a causa del patriot act per una canzone con riferimenti all’Islam ed è costretto a ripiegare in Canada salvo essere accolto dalla Shady Records, il cui fondatore è sempre stato attaccato per motivi razziali da personalità basse come Benzino ed Everlast. La stessa Shady Records ha il via libera dalla madre di uno degli ultimi veri attivisti del movimento di emancipazione degli afroamericani per produrre Loyal to The Game ed il suo singolo Ghetto Gospel, in dimostrazione che quello che conta è la buona battaglia per un’unità e una convivenza pacifica e che la barriera, da qualunque parte venga issata, è un errore clamoroso e controproducente per il progresso dell’umanità. Ghetto Gospel inoltre ha il contributo di Indian Sunset di Elton John (che ha difeso Eminem dalle accuse di omofobia e duettato assieme al buon Shady sostituendo Dido in Stan), scritta nel 1971 e che parla di un guerriero Indiano americano che lotta per sconfiggere l’uomo bianco.

Ghetto Gospel è una melodia che non abbraccia solo la condizione della comunità afroamericana ma da conforto a tutte le persone che lottano per sopravvivere nel ghetto, sia esso un luogo fisico, una situazione mentale o una condizione economica. Ora più che mai, le liriche di Tupac Shakur ci devono ispirare in un clima di estrema paranoia, divisione, odio razziale immotivato ed esclusivismo sistematico. Afeni, in gioventù seguace delle pantere nere e delle parole di Malcom X, più che di Martin Luther King, diede il via libera a Marshall Mathers che umilmente le scrisse una lettera per avere il consenso di produrre Loyal to the Game, al bianco Marshall Mathers, che più di molti afroamericani, certamente più di chi l’ha criticato negli anni, è stato vicino alle condizioni di degrado, povertà e ghettizzazione, andando oltre il colore della pelle ma valutando le capacità, il talento di chi si stava proponendo.

Il videoclip narra una storia come tante, una tragedia silenziosa, di tipo ordinario, della quale i media non fanno mai tanto scalpore e, proprio per questo motivo è struggente e terribile, perché passa ormai inosservata gli occhi del pubblico come violenza sistematica, “normale in certi ambienti e senza dubbio necessaria”, parole che chi scrive trova disgustose e che purtroppo si sentono anche nell’anno 2017. Tupac Shakur è morto ma chi scrive vi ha tediato con un pezzo più lungo del normale perché è necessario che il suo spirito torni a vivere, ora più che mai ne abbiamo bisogno.

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