Pearson Sound – S/t

polpetta
Tempo di lettura: 3' min
7 April 2015
In primo piano, Waxview

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Hessle Audio 2015

Arriva dopo più di 9 anni di attività l’album d’esordio di Pearson Sound, co-fondatore (insieme a Ben UFO e Pangaea) della Hessle Audio, etichetta che si è sempre mossa bene in ambito techno ma anche, o meglio, soprattutto, in ambito bass. È un LP che necessita di qualche ascolto per essere assimilato a pieno perché non è proprio un ascolto immediato.
Le nove tracce che compongono questo lavoro non sono legate da un filo logico particolare ma sono una sorta di contributo di Pearson Sound alla musica del domani, donando al grande calderone della Bass Music inglese senza rifarsi (troppo) ai grandi movimenti bass-oriented come il dubstep, il grime o il footwork ma piuttosto scoprendo un sentiero ancora inesplorato. Ogni brano è curato perfettamente, la scelta dei suoni categorica di Mr. Kennedy rende ogni traccia una storia diversa e per coglierli ed apprezzarli al meglio bisogna lasciare sfogare le basse frequenze di questo album o in un impianto stereo o un paio di cuffie di qualità.
L’approccio minimalista di questo lavoro è la sua forza anche sotto un altro punto di vista, aiuta infatti l’ascoltatore a fare ordine all’interno di un album che ordinato non è, rendendo più facile il processo di metabolizzazione, Asphalt Sparkle consiste dello stesso giro di synth che, più o meno invariato per tutta la durata, viene soppresso da un kick distorto gigantesco, Glass Eye invece è una tempesta di bleeps scanditi da una batteria frenetica che, comandata da un rullante e dal suo delay, fa passare le dimensioni della cassa in secondo piano e prepara il palcoscenico a un pad che si sposa alla perfezione con tutto quello che è stato sviluppato fino a quel momento. Il viaggio beat-less che segue è Gristle, un’escursione modulare piuttosto angosciante in cui il tempo (se si deve attribuire un tempo ad una traccia praticamente ambient) è scandito da una nota che fino alla fine accompagna le field-recordings di Pearson Sound. Crank Call è la ripartenza dell’album, una vibrazione di un telefono su una scrivania e poi partono i tom di una 808 e un altro loop di synth che diventano i due protagonisti costanti di questa traccia, rinforzata da kick ed hi-hat diventa un ottimo esempio di techno grezza, à la Greg Beato, Levon Vincent. Con Swill Pearson Sound ci riporta in un territorio piuttosto oscuro, fatto di batterie frenetiche e basse frequenze scandite da qualche pausa per prendere fiato, un po’ una visione distorta e apocalittica del footwork portato avanti da Traxman e DJ Rashad a Chicago.
Il synth di Six Congas rimanda la mia mente ad un videogioco a cui giocavo in giovinezza e, anche se non ricordo con precisione di quale si tratta, mi pare di ricordare che fosse uno di quegli “sparatutto” in prima persona e, bè, con un pezzo così sarebbe stato ancora più fico, rendendo il tutto ancora più tetro e terrorizzante Headless e Russet sono i momenti più organici del disco, in cui la meccanicità dei bran ascoltati fino ad ora viene meno e si percepisce un intervento più umano sugli strumenti, probabilmente è solo una questione di impressione e di scelta di suoni, fino ad ora mai toccati fatta eccezione per la batteria che si può ritrovare anche in altri brani. Rubber Tree è il momento finale e più incazzato del disco, suona come una minaccia composta da una batteria distorta per 3/4 del brano che sfocia in un outro noise davvero molto sporca.

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Ascolti consigliati:

Shackleton – Music For The Quiet Hour / The Drawbar Organ EPs [Woe To The Septic

Heart, 2012]

Andy Stott – Faith In Strangers [Modern Love, 2014]

Objekt – Flatland [Pan, 2014]

WORDS BY ANDREA NOCETTI

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