Anthony Naples – Body Pill

polpetta
Tempo di lettura: 2' min
1 April 2015
Waxview

È uscito a febbraio per la Text Records di Kieran Hebden “Body Pill” l’album d’esordio per il musicista statunitense Anthony Naples. Proveniente da Miami ma con base a New York City, è riuscito ad inserirsi nel miglior modo nella fauna di producers della Grande Mela grazie alla formidabile prima uscita per la label di Brooklyn, la Mister Saturday Night Records (Mad Disrespect EP, 2012).

L’anno successivo fonda la Proibito, etichetta in cui rilascia P O T, il suo secondo EP, e che co-pubblica insieme all’etichetta di Four Tet anche questo Body Pill.

È un album piuttosto breve (29 minuti totali) i cui brani si svincolano dalla tradizionale forma di traccia da club e in cui il nostro ha avuto modo di sfogare la vena creativa in diversi modi e stili, la partenza con Riz è piuttosto delicata, per metà della sua durata consta di un tappeto di pad ambient che sfocia in un beat quasi post-punk accompagnato da una melodia malinconica, Abrazo invece è il primo brano che è stato reso noto dall’artista, quello con cui ha annunciato la pubblicazione dell’album, un hi-hat costante accompagna un beat scomposto che si rovescia con una cassa in 4 accompagnata da un pad arioso e che sembra quasi immaginario, non fa in tempo a svilupparsi che un arpeggio crescente ci avvia verso la conclusione di questa meraviglia di brano che, forse, è fin troppo breve per essere il cardine di questo album.

Il crescendo continuo di Changes, la traccia successiva, è fine a se stesso, perché in realtà non si apre mai, anche questa è scandita da un hi-hat che divide i quarti e che si riempie, tra un intervallo e l’altro, di kick ripetuti e si rifà vivo lo stesso synth di Abrazo, come una sorta di “seconda parte”. Way Stone è l’intervallo dell’album, quello dopo il quale Refugio si apre, riprendendosi dal noise e procedendo imperterrito con l’arpeggio ossessivo di uno stab che rimbalza da una parte e dall’altra ma che si compatta quando i piatti diventano i protagonisti del brano, contribuendo al vortice ipnotico dandogli un senso, una direzione. Pale è un momento aulico, è tipo la quiete dopo la tempesta, almeno finchè non parte un kick distorto e dilatato che unisce, quasi in una cosa sola questo brano e il successivo, Used to be, forse l’unica traccia un po’ decontestualizzata all’interno dell’album, dalle 120 e passa battute si rallenta fino a 70, come una sorta di sua visione del dubstep in cui un basso graffiante continua con lo stesso giro per tutta la durata del brano e che viene raggiunto da un pad che abbiamo potuto apprezzare in modo più grezzo all’inizio di Pale. La chiusura, Miles, fa uscire il lato più danzereccio di Naples che, comunque, non si concede di andare oltre i due minuti e quarantacinque secondi, sembra quasi una ghost track quella che parte a metà, un brano che pare scritto per lo scorrimento dei titoli di coda e che ti accompagna soavemente verso la fine di questo forse fin troppo breve album.

TRACKLIST

1. Riz

2. Abrazo

3. Changes

4. Way Stone

5. Refugio

6. Pale

7. Used To Be

8. Miles

Ascolti consigliati:

The Field – From Here We Go Sublime [Kompakt, 2007]

John Roberts – Glass Eights [Dial, 2010]

Kassem Mosse – Workshop 19 [Workshop, 2014]

WORDS BY ANDREA NOCETTI

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