PVP – Lorn: Inverted.

md-romero
Tempo di lettura: 4' min
6 December 2017
POLPETTA VIDEO PASSION

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Nella nostra moderna e civilizzata società moderna, così libera e straordinariamente illuminata, è sorprendente la quantità di tabù che, di fronte ad ondate su ondate di rivoluzioni culturali e sessuali, rimangono in piedi, senza essere scalfite. Parlare di un certo tipo di argomenti risulta sempre essere scomodo e quello che viene accademicamente definito dilemma etico, o sociale di cui è necessario discutere, viene spesso zittito da folle inferocite di indignados che, tappandosi le orecchie e gridando a squarciagola distruggono ogni tentativo di dialogo. Mantenendo in piedi un clima di omertà sui peggiori crimini agli esseri umani che vengono perpetrati giorno dopo giorno, nella quotidianità di una razza umana che decide, a seconda dei casi di essere onnisciente o di non vedere. Un esempio concreto ed attuale sta nei recenti “scandali” che stanno facendo tremare l’industria di Hollywood. Dagli stupri di Weinstein alla politica parafascista della Disney corporation passando per la trasformazione di minorenni a oggetti sessuali, sul fronte di chi, come il sottoscritto, tiene un occhio a quell’ambiente e alla sua storia dai suoi albori, non si sta scoprendo nulla di nuovo ( e si aggiunge anche non senza polemica, è stato lapidato per aver anticipato i tempi in discussioni sui temi). Addetti ai lavori, critici e pubblico hanno da sempre scelto di non vedere i lati più oscuri dell’industria cinematografica, così come per molti altri campi, innalzando e mantenendo draconiani Tabù in vigore da tempi antecedenti alla scoperta dell’elettricità.

Il discorso che, il vostro affezionatissimo MD vi vuole fare, non riguarda l’industria del cinema, già martellata da altri tabloid ma parlare di videoclip. Parliamo di musica. La premessa? ci servirà per dopo.

Il PVP di questa settimana è offerto da Marcos Ortega, alias LORN, e il brano è Inverted, tratto dall’EP Debris del 2013. Il brano è un crescendo di appena più di due minuti, delicato dalle sonorità retrò, su cui è stato costruito il videoclip che andiamo a vedere.

Un uomo accompagna una bambina in macchina per una gita in campagna. I due non hanno contatti, forse sono parenti, forse lui è il padre o meglio il nonno. L’auto prende una strada isolata, in mezzo ai boschi. L’uomo fa scendere la bimba, vestita con un cappotto rosso (Chiaro riferimento alla fiaba dei fratelli Grimm) e la accompagna in un luogo appartato. Uno di fronte all’altro si fissano, la bambina viene toccata con fare laido. Lui si sbottona la camicia, spogliandosi con chiaro intento. Sta per avvenire uno stupro. L’uomo è un pedofilo. La bambina, senza battere ciglio estrae una pistola Tazer e colpisce il vecchio sul petto nudo. L’uomo cade a terra, il suo corpo viene percorso da una scarica elettrica che lo rende impotente e catatonico.

Il crescendo drammatico del video, accentuato da uno slow motion che viene usato fin troppo spesso nel campo dei videoclip qui ci da tempo per una grossa riflessione. I due si conoscono, e la naturalezza e la normalità con cui entrambi compiono l’atto, fino al twist finale lascia intendere che non sia la prima volta che questo succeda. La bambina è già stata vittima di abusi da parte dello stesso uomo? il suo è un atto di difesa preventiva o un esasperato tentativo finale per interrompere una reiterazione di abusi?

Meglio lasciare tutto nell’ambiguità, meglio non rifletterci troppo sopra. Come in pellicole come Hard Candy (Storia di una ragazza che si vendica di uno stupratore facendo essa stessa da esca) o Il Dubbio (Con il compianto Philip Seymour Hoffmann e una Meryl Streep su cui non discuteremo il talento e non ci soffermeremo sulla sua etica visti i recenti sviluppi) l’ambiguità rimane sempre fino all’ultimo momento. L’orco, il violentatore dalla faccia mansueta, il pater familias, il brav’uomo, deve essere sempre avvolto in un velo di ambiguità fino a definitiva condanna, e, anche allora rimane un caso isolato, un qualcosa frutto di una perversione, di un qualcosa di raro, mostruoso e orribile. Qualcosa che, agli occhi del popolo è lontano, non riguarda direttamente le loro vite, riguarda l’altro.

I dati statistici parlano a sfavore di questa tendenza: il 70% dei casi di abusi sessuali avviene all’interno delle mura domestiche, in sei casi su dieci si tratta di bambine, le cifre nel 2016 hanno visto un incremento del 5% di casi segnalati riguardo abusi su minori. Ma purtroppo non è che la punta dell’iceberg, ci vuole coraggio a denunciare la violenza e la vittima si ritrova spesso in una situazione in cui, nel migliore dei casi è costretta, nei dettagli a raccontare, ergo rivivere, l’abuso venendo messa in discussione (interessante per l’argomento anche Sotto Accusa, con una grandissima Jodie Foster) e confrontarsi in maniera diretta con il carnefice, che raramente ha l’aspetto di una bestia o di ciò che il popolo vuole a tutti i costi temere, ma spesso è qualcuno di ben voluto, rispettato, un famigliare la cui reputazione è sempre stata ottima, oltre che con l’opinione pubblica, quella marea di perbenismo e misoginia che non è in grado di empatia o ragionamento, contribuendo a creare scenari grotteschi e kafkiani in cui la vittima è discreditata e viene abbandonata a se stessa. L’alternativa a questa ulteriore tortura, nella speranza di giustizia (Comprendente un doloroso processo di riabilitazione) o alla costante paranoia (e quindi nuovamente a situazioni in cui, la vittima di un tentato abuso si difenda, provocando dei danni all’aggressore si trovi essa stessa possibile imputata di violenza (è accaduto)) è creare una discussione, demolendo concetti e valori di famiglia ormai retrogradi che hanno permesso nei decenni questo tipo di comportamenti e violenze. Alla luce del XXIesimo secolo tutto questo non è più accettabile da nessun punto di vista.

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