roBOt 06 [update 0.5]

polpetta
Tempo di lettura: 9' min
15 October 2013
Art, Festival

Anche per quest’anno roBOt, purtroppo, è terminato. Per la prima volta Polpetta Mag tira le somme di questa 6° edizione del Festival bolognese, dedicato alla musica elettronica e all’arte digitale.

Nella sezione Art vogliamo raccontare quali emozioni ci hanno regalato i diversi artisti che hanno partecipato a roBOt by Day, dentro e fuori Palazzo Re Enzo.

In questa prima sezione esploriamo gli artisti più vertiginosi, appartenenti alle sezioni Live e Performance.

Per quanto riguarda i live, vanno ricordati in primis i Zimmerfrei.

I Zimmerfrei sono un trio tutto italiano di artisti eclettici, composto da Massimo Carozzi, Anna de Manincor e Anna Rispoli. La loro arte racchiude al suo interno contaminazioni che provengono da diversi ambiti, come performance, musica, cinema e teatro. È la loro prima volta a roBOt (anche se Massimo aveva già partecipato al festival 2 anni fa). Lavorano col suono da moltissimo tempo ma, in esclusiva (a Bologna), presentano un nuovo progetto sonoro, intitolato “Safari”.

Durante una chiacchierata, Massimo ci parla di questa performance come di una “bellissima esperienza, che richiede un certo tipo di attenzione e che il pubblico del roBOt ha saputo pienamente offrire.” Questo loro lavoro si è incentrato sulle “proprietà che ha il suono di proiettare delle immagini dentro la testa, solo ascoltandola e solo cercando di immergersi nei paesaggi sonori”; e chi era presente può sicuramente affermare che questi artisti siano riusciti a ricreare un’atmosfera davvero magica e surreale, capace di catapultare gli ascoltatori in un mondo “altro”. Cercando di scoprire di più sulla natura di questi suoni, Massimo ci spiega che “i materiali che ho fatto ascoltare, sono delle registrazioni che provengono dal nostro archivio di registrazioni ambientali che abbiamo fatto durante gli ultimi 10 anni, che sono servite, tra le altre cose, anche per costruire il sonoro dei nostri film. Ora, da un anno a questa parte, abbiamo pensato di creare questa situazione di ascolto, in cui cerchiamo di creare una specie di narrazione cinematografica solo attraverso il suono”.

Gli chiediamo maggiori informazioni sull’aspetto più tecnico del loro lavoro: “c’è una struttura creata a priori, che di volta in volta cambia. Sono 4 tracce di ambienti che vanno insieme e che io mixo in tempo reale, anche a seconda di come risponde l’ambiente in cui stiamo svolgendo la performance.” Gli strumenti utilizzati sono un computer e poi i suoni nudi e crudi come li hanno registrati senza l’aiuto di effetti.

Passando dai live alle performance artistiche, incontriamo Roberto Pugliese, con il suo lavoro intitolato “Itineranti risonanze architettoniche”. Roberto, caricatosi sulle spalle un misterioso congegno, capace di trasformare le architetture che lo circondano in suoni; attraversa il centro di Bologna, seguito da un gruppo di fedelissimi, in religioso silenzio. Cammina a passo svelto per un’ora, facendo qualche tappa in alcuni dei luoghi più rappresentativi della Bologna antica (le gallerie De’ Toschi e Acquaderni per citarne un paio). Durante queste soste Roberto lascia sgomenti i passanti che lo osservano: quello zaino curioso che si porta dietro, fa risuonare le architetture coperte del centro. É come se i fantasmi di quelle antiche mura, fossero capaci di urlare tutta la loro solitudine. La sua ricerca lega insieme Sound Art e Arte Cinetica e Programmata, c’è quindi un’unione tra arte del presente e del “passato”. Questo binomio ritorna anche durante la sua performance, accostando i luoghi antichi di Bologna, al presente “qui e ora” in cui avviene la sua azione artistica. Grazie ad apparecchiature meccaniche che interagiscono tra di loro, con l’ambiente che lo circonda e con il fruitore, la sua ricerca artistica si sviluppa su diversi livelli. I principali aspetti che Roberto vuole indagare sono: esaminare i fenomeni legati al suono, analizzare i processi della psiche umana, approfondire il rapporto tra uomo e tecnologia e quello tra arte e tecnologia, il tutto senza tralasciare l’aspetto visivo. Un’azione artistica così complessa, che paradossalmente può scaturire nel non-sense.

Tornati a Palazzo Re Enzo, proseguiamo con un’altra performance di grande effetto: quella proposta dai Fake Samoa.

Il duo Fake Samoa, composto da Giuseppe De Mattia e Nico Pasquini, si è presentato al bando Call4roBOt con l’opera intitolata “Spiral Composition”. Purtroppo non sono stati i vincitori del bando, ma sono gli unici ad aver ricevuto una menzione d’onore da parte dei giurati. Riportiamo dal sito di roBOt Festival la riflessione dei giurati: “Declinazione originale e sorprendente dello scenario ‘techno’. Immagini e suoni maniacalmente puntuali che però richiamano alla mente la solitudine e lo stravolgimento emotivo di coloro la cui vita è scandita da una gestualità sempre identica ed alienante. Immagini davvero molto intense, fotografia impeccabile. È forte l’impatto ipnotico che richiama il tema ‘vertigine’ declinandolo anche a livello sonoro. (forse paga lo scotto di non averlo giudicato dopo aver assistito al live). Più che cesellato, tornito… Bellissima la fotografia, e il suono industrial, che pur essendo fortemente didascalico risulta ben plasmato.”

Durante la nostra intervista, i Fake Samoa ci parlano del loro lavoro: il nostro progetto è fondato sul rapporto tra immagini e suono. Lo scopo è quello di indagare la relazione che ci può essere tra immagini e suono se programmati per stare insieme, al fine di dar vita ad una forma espressiva in cui questi due elementi si fondono. Alla base c’è una ricerca di tipo antropologica sulla ritualità e ripetitività del gesto, sottolineando gli elementi visivi e acustici di questi fenomeni culturali.”

In questo loro lavoro, il suono ritmato e ossessivo sposa perfettamente i movimenti meccanici delle immagini; ci chiediamo come sia entrata la lavorazione meccanica all’interno della loro arte. Giuseppe e Nico ci rispondono così: “questo lavoro è basato sulla ricerca del rapporto tra uomo e macchina nel suo scenario industriale. L’incessante ripetitività dei macchinari evocata dalle immagini, è interpretata a livello sonoro fino a fondersi con esso. La lavorazione per le immagini, come per il suono, è stata creata a partire da una serie di loops ritmici, combinati tra loro per dare vita a una composizione, “spiral composition” appunto. La ripetizione ossessiva è l’elemento centrale nei movimenti ritmici o circolari dei macchinari, così come la gestualità sempre identica e alienante. La composizione musicale ha la funzione di mettere in risalto gli aspetti acustici ed emotivi attraverso un linguaggio “techno”, per evidenziare la dimensione di un’atmosfera industriale.”

Proseguiamo la nostra chiacchierata affermando che il loop sonoro e la circolarità delle immagini risulta quasi un mantra industrializzato; ci chiediamo cosa ne pensino a riguardo: “la definizione è alquanto calzante. Il nostro scopo oltre tutto è quello di ipnotizzare lo spettatore. La ripetizione come loop è paragonabile alla ripetitività sempre uguale di un rito, religioso o pagano e come tale ha un effetto fortemente ipnotico. Il rito e in generale la ritualità dei gesti, è una cosa che lega molto l’uomo alla macchina. Pensate alla ritualità che c’è all’interno del meccanismo di un orologio, che in più segna il passare del tempo sempre uguale a se stesso. Ciò che invece ci fa pensare al trascorrere del tempo è lo scarto che è provocato dal tempo stesso: nel nostro caso erano i trucioli delle lavorazioni al tornio che ci facevano capire che il rito produce effetti differenti nel tempo.

In chiusura gli chiediamo un’anticipazione sul loro progetto in cantiere; l’unico indizio che riusciamo a strappargli è: un lavoro sul buio.

Gli altri performer che ci hanno deliziato durante il festival sono stati: Mattew Collings, Nero.txt e Esnho, La capra – la panca, Otolab, Marco Mendeni e Bob Meanza, Francesco Giannico, Von Tesla, Andrea Magnani, Saguatti – Coïaniz – Fameli e Sailer, A-li-ce & Swub.

Nella seconda parte ci dedichiamo ai Video e agli Screenings, sapientemente curati da Elisa Trento, cominciando con i coloratissimi ed effervescenti Onedotzero. 

Onedotzero è un progetto Londinese che nasce dall’unione di più artisti, i quali mescolano insieme arte digitale, intrattenimento, design e tecnologia. Si occupano di tutto ciò che gira intorno alla cultura digitale: organizzano eventi privati e pubblici, creando delle vere e proprie esperienze sensoriali; collaborano con musei, agenzie, festival, marchi di ogni genere (Red Bull e Nike per citarne un paio); offrono consulenza per tutti gli aspetti che legano il marketing alle arti digitali attraverso la TV (MTV), il web, gli eventi live, le pubblicità, le installazioni e molto altro ancora. Insomma, Onedotzero è da considerarsi un “guru” per tutto ciò che riguarda le più avanzate tecnologie audio visive.

A roBOt 06 presentano un’intensa selezione di proiezioni intitolata “Resonate”. Questo allettante campionario è caratterizzato dalle più innovative forme di “immagini in movimento”, amalgamando tra loro motion graphic, cortometraggi, animazione e video musicali. Il programma attraversa luoghi sovrannaturali, mondi alieni, paesaggi incantati americani dal gusto retrò, universi futuristici e scenari al di là di ogni comprensione. La qualità audio e video è così eccellente, da riuscire a farti dimenticare completamente di essere all’interno di un edificio medievale come il palazzo Re Enzo.

Dopo il documentario dedicato ai video games (“Indie Game: the Movie”di Lisanne Pajot e James Swirksy) e quello riguardante il fenomeno Modeselektor (“We are Modeselektor”di Romi Agel e Holger Wick), ritorniamo agli screenings strettamente artistici, con il lavoro di

Carlotta Piccinini e Luigi Mastandrea.

Enaction” è un emozionante progetto di Video Arte, un vero e proprio viaggio all’interno della materia. Nasce circa un anno fa, quando Luigi Mastandrea chiede a Carlotta Piccinini una collaborazione, in un momento in cui lui stava partecipando ad un progetto Europeo sul paesaggio sonoro, intitolato “Listening Cities”. Quella presentata a roBOt è la seconda versione, la prima è stata mostrata al pubblico del GMVL di Lione.

Carlotta ci racconta la nascita di Enaction: “Luigi mi ha chiesto di scegliere tra tre brani, io ne ho scelto uno per empatia e da lì è iniziato lo sviluppo di questo progetto. Il concetto è quello di raccontare, attraverso il suono e il video, una forma vivente e il suo costante rapportarsi all’ambiente; laddove l’ambiente è sia spazio che suono. La relazione si produce nella stessa maniera in cui avviene per gli esseri umani, ovvero attraverso i sensi; solo ed esclusivamente in questo modo riescono ad abitare e a riflettere l’ambiente che li circonda. I colori rappresentano le diverse età della forma vivente, la quale muore e si rigenera costantemente; infatti nel video è evidente un andamento circolare, dove la chiusura rappresenta allo stesso tempo un’apertura verso qualcos’altro.

La sincronia perfetta tra le immagini di Carlotta e i suoni di Luigi è nata così: “prima ho scelto la traccia (prosegue Carlotta), poi ho sviluppato il video e da lì l’abbiamo proiettata a Lione. E’ andata davvero benissimo, però non eravamo pienamente soddisfatti perché sentivamo che mancava qualcosa, mancava ancora un filo rosso che legasse il tutto. Abbiamo quindi fatto un secondo shooting, di conseguenza Luigi ha fatto un lavoro di sound design modificando la prima traccia, per poi dare alla luce il progetto definitivo. Ci è voluto un intero anno per creare la nuova versione. E’ stata la prima collaborazione con Luigi, con lui si è sviluppata un’empatia artistica davvero molto stimolante.

Questo film è una produzione Elenfant Film, quindi sono diverse le persone che hanno collaborato a questo progetto (da Walter Cavatoi che ha curato la Color Correction a Salvo Lucchese, direttore della fotografia). L’aspetto che più ci ha stupito di questo lavoro è che Enaction è stato realizzato senza l’ausilio della Motion Graphic, tutte le immagini sono state create solo attraverso lo shooting. La successione di elementi che compaiono nel video sono tutti elementi che compaiono in natura. L’unico intervento digitale che è stato fatto, oltre il montaggio, è la Color Correction. Un vero e proprio capolavoro di “artigianato audio-visivo”. Carlotta si ritiene molto soddisfatta dei feedback ricevuti dal pubblico, non resta quindi che aspettare la seconda proiezione di Enaction, dedicata a coloro che non sono riusciti a vederlo durante roBOt 06.

Degli screenings presentati a Palazzo Re Enzo, sono assolutamente da citare anche il “passato futuristico” del tedesco Carsten Nicolai, con il suo digital work intitolato “Future past perfect_parts 1-4”; e il camaleontico Energy Fieldcreato dallo studio grafico The Field in collaborazione col sound designer David Kamp.

Passando alla sezione dedicata ai video, apriamo con il vincitore del bando Call4roBOt.RoBOt Festival e la Fondazione Del Monte, hanno messo in palio un premio di 1500€ e la possibilità di volare a Cape Town (ZA), per partecipare all’edizione sudafricana del Live Performers Meeting dal 13 al 16 novembre 2013.

La commissione composta dalle due curatrici Federica Patti e Marcella Loconte e dal comitato scientifico costituito da Andrea Sartori, Claudio Musso e Valentina Tanni; ha decretato l’opera vincitrice del bando di quest’anno, ovvero “Dance Macabre” del francese Boris Labbè. Qui diseguito le motivazioni pubblicate sul sito del roBOt Festival: “Dance Macabre è molto aderente al tema dell’ edizione 06 di roBOt Festival. Un lavoro formidabile, cesellato e di forte impatto. Strepitoso viaggio visionario tra iconografie differenti in cui eleganza e bellezza accompagnano personaggi grotteschi e inquietanti in un vero e proprio smarrimento digitale. La tematica della sesta edizione di roBOt è interpretata alla perfezione dall’opera di questo giovane autore. Il soggetto è notevole (la realizzazione ancora meglio), pesca da svariati immaginari, anche lontani nel tempo, riuscendo a congegnare un’opera ibrida che ha già le qualità di un vero e proprio genere.”

Sempre all’interno della sezione video seguono i kilobyte del “Transferring, storing, sharing, and hybriding: text version” di Marcello Mercado; continuando con lo psichedelico e mistico “Sipping Soma” di Retrophuture alias Fabrizio Passerella; con la sconcertante risata della protagonista di “Self Portrait” dell’astigiana Francesca Arri; terminando con l’installazione video dell’ungherese Katalin Tesch, intitolata “Moon’s journey”, la quale riesce a mostrarci il mondo attorno a noi, visto da nuove, diverse e inconsuete prospettive.

Questo è solamente un breve riassunto del ricchissimo programma artistico presentato a roBOt di quest’anno. Certamente, chi non l’ha vissuto, può solo avere un’idea sommaria della magia che questi artisti sono riusciti a ricreare; ma chi invece ha partecipato a roBOt Day Time, quasi sicuramente, leggendo queste righe, avrà riprovato le emozioni vissute a Palazzo.

Grazie a coloro che hanno reso possibile questo vertiginoso viaggio di 4 giorni, all’insegna dell’ottima musica e della più innovativa arte digitale.

Cristina Bigliatti

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