Peeta // Frontier 2014 // Bologna

polpetta
Tempo di lettura: 4' min
29 July 2014
Art

A fine giugno si è dato il via all’appuntamento del 2014 di Frontier – la Linea dello stile, il progetto con cui il Comune di Bologna vuole valorizzare alcune zone della città, attraverso il Writing e la Street Art.
Il primo artista che ha instancabilmente lavorato sotto gli occhi di passanti e curiosi presso le Scuole Gualandi, è stato il Writer italiano Manuel di Rita, in arte Peeta.
L’abbiamo intervistato e ci ha svelato i segreti del suo “crimine” artistico.


Ciao Manuel! Sei un’artista attivo nella scena dei Writing italiano già dagli anni ’90 e da molto tempo hai cominciato a collaborare negli USA e in Canada. Raccontaci l’evoluzione che ti ha portato dalla tua patria fino a New York.

Ho iniziato a dipingere all’inizio degli anni ’90. Dopo un po’ di anni che lo facevo da solo, ho cominciato a incontrare varie persone delle città di Padova e di Venezia, quindi ho conosciuto l’EAD e sono entrato a farne parte. Questo ha fatto si che questa disciplina facesse parte di me. Verso la fine degli anni ’90 ho girato spesso in macchina per andare a dipingere nelle capitali europee e questo ha arricchito talmente tanto i miei contatti, da spingermi negli anni 2000 a visitare l’America, facendomi conoscere realtà ben diverse dall’Italia e dall’Europa.


Quali sono le differenze sostanziali tra la scena Italiana e quella d’oltreoceano?

Ci sono delle grosse differenze tra il modo di concepire i Graffiti in America e in Europa. Diciamo che l’America li ha inventati e c’è una forte cultura legata ai Graffiti e alle lettere, addirittura la popolazione ha una buona sensibilità rispetto a questo fenomeno; nello stesso tempo però c’è un forte contrasto tra vandalismo e arte. In Europa quello che è successo è che le cose si sono sviluppate in modo molto più artistico, c’è stata una forte evoluzione dello stile, così che l’America ha cominciato a guardare all’Europa con molto interesse e adesso c’è un forte interscambio. Anche grazie a internet ora c’è molta più comunicazione e le cose sono molto più mescolate rispetto ad anni fa.


Quindi hai cominciato dapprima con i tag, poi sei entrato a far parte della crew padovana EAD fino ad arrivare allo stile tridimensionale unico che ti contraddistingue. Raccontaci come si è evoluta questa tua parabola stilistica.

Sono partito da forme organiche molto amorfe, senza una gran struttura geometrica.
Ho conosciuto l’EAD, mi riferisco a Joys in modo particolare, la quale mi ha ispirato dal punto di vista proprio della struttura e questo mi ha influenzato leggermente e mi ha stimolato a migliorare e a rendere le mie forme più studiate per evolvere il mio stile; quindi ho studiato scultura alle superiori e questo mi ha formato in modo diverso, perché pensavo che saper scolpire una forma, fosse molto più completa come esperienza rispetto alla semplice pittura.
Questo ha cambiato anche il mio modo di dipingere. Verso il 2000 il mio stile era più o meno piatto, pian piano ho cominciato a fare un bassorilievo e poi ho iniziato a torcerlo e a renderlo sempre più strutturato in modo geometrico con volumi, prospettive…poi anche la scelta di studiare disegno industriale è stata determinante per confrontarmi con un certo tipo di progettualità legata alla funzione e questo l’ho fatto non perché volessi diventare un designer vero e proprio, ma cercavo degli stimoli, anche estetici, da applicare poi ai Graffiti.
Nel corso del tempo questo ha creato anche una professione, perché ha realizzato dei prodotti vendibili; ma questa inizialmente non era la mia intenzione, per me è sempre stata semplicemente ricerca e continuo su questa strada tutt’ora, applicando i metodi dei designer alla progettazione di sculture, per poi ottenere un prodotto che posso studiare fotograficamente per poi ridipingerlo in situazioni come questa.


Collabori spesso con gallerie e fiere d’arte, però la Street Art è inizialmente nata con lo scopo di sfuggire al mercato e alle istituzioni. Il tuo percorso lo vivi come una contraddizione o lo consideri una naturale evoluzione che ha portato nei decenni l’arte dalla strada ai musei?

Vedere i Graffiti in una Galleria è sicuramente un compromesso, non è l’ambiente in cui osservare i Graffiti o la Street Art. Le mie opere vengono esposte anche in contesti diversi da quello urbano, ma in realtà quello che mostro sono i miei esercizi. Quando ho iniziato a fare le tele l’ho fatto per esercizio personale, non volevo diventare un artista all’inizio, per me era un modo di fare un bozzetto. Comunque anche quello, il bozzetto, fa parte del processo creativo di un Writer; magari quello può essere mostrato, venduto e può avere un mercato, mentre la Galleria non può sostituire assolutamente la strada, in nessun modo. Bisognerebbe prendere un intero angolo di quartiere e trasportarlo dentro a una Galleria enorme per poter avere la percezione di tutto ciò, però anche in quel caso non sarebbe comunque la stessa cosa, perché questa cosa ha vita e chiude il cerchio solo nel contesto urbano.


Il tema centrale di Frontier è quello dell’arte come elemento di riqualificazione urbana: raccontaci quali sono le tue impressioni a riguardo.

Il Graffito è un atto e un metodo di comunicare un po’ violento, poiché l’artista impone un’immagine, che il pubblico la voglia o meno; infatti di solito i Graffiti vengono fatti da Writer per Writer, senza mai considerare coloro che li guardano. Riqualificare un ambiente urbano con delle lettere, con i Graffiti, bisogna farlo quindi in un modo molto delicato e, secondo me, esteticamente nel modo più gradevole possibile, tenendo conto dell’ambiente in cui è disegnato. In questo caso ho visitato il luogo prima di iniziare, per fare un progetto che potesse inserirsi in questo contesto in modo armonico, pensando soprattutto alla luce, alla posizione del muro, al punto di vista, ai colori, cercando di integrarlo nel modo più delicato possibile: questo è stato il mio intento ed è il mio intento in generale quando dipingo.
Non sto creando nessun tipo di messaggio preciso, politico o divertente, ma qualcosa di gradevole da guardare che possa, addirittura, essere di ispirazione per qualcuno.


Dove collochi il limite che separa la Street Art dal vandalismo?

La differenza secondo me sta nel modo in cui viene percepita la cosa, perché se faccio un dispetto o scrivo una cosa offensiva o se semplicemente lancio una secchiata di colore su una vetrina, magari la cosa può essere interpretata in modo diverso, però l’artista ha sempre ragione….nel senso, è vandalismo però è arte e questo è il bello di quest’arte insomma, è un crimine artistico e basta!

 

INFO
www.peeta.net
[email protected]
https://www.facebook.com/pages/Peeta/246743535365055?fref=ts

 

Cristina

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