Il ritorno alla natura di Nick Van Woert [update 2.4]

polpetta
Tempo di lettura: 7' min
2 June 2014
Art

Durante la conferenza stampa della mostra “Nature Calls” di Nick Van Woert organizzata al MAMbo, ho avuto la fortuna di conoscere l’artista, di seguirlo durante la visita guidata e di porgli anche qualche domanda in merito alla sua arte.
Il suo lavoro si concentra su un ritorno alla natura, compiuto utilizzando tutta una serie di materiali artificiali, che col naturale hanno ben poco a che fare.
Lui si dichiara un pittore paesaggista, osserva quello che lo circonda e lo riproduce nelle sue opere: è facile quindi intuire da questa mostra, che il mondo intorno a sè non è solo composto da deserti o pianure verdeggianti.
Quella che segue è la personale visione di Nick Van Woert della sua arte, rivelata dallo stesso artista di fronte alle sue opere.

Entrati nel salone principale veniamo sopraffatti da un’intensa eterogeneità di opere e di materiali. Ci sono totem luccicanti vestiti come manichini; calchi di statue greche o romane ricoperte da colate di materiale fluorescente; c’è un grande pannello tappezzato di post-it; collocati in ordine sparso nelle sale troviamo dei singolari asteroidi neri… le opere sono così diverse tra loro, che sembrano quasi create da artisti differenti.

Si presenta davanti ai nostri occhi uno strano labirinto, composto da parallelepipedi di plexiglass che contengono al loro interno diversi oggetti e materiali. Nick ci spiega: “questo lavoro si rifà alla pittura di paesaggio, anche se è fatto con materiali e oggetti artefatti. L’unica relazione che esiste con la pittura del paesaggio tradizionale è quella cromatica, poiché i colori sono analoghi, quindi il giallo che richiama la luce del sole, piuttosto che il blu e il verde dei laghi e dei mari; mentre questo paesaggio richiama gli stessi colori ma è composto da ben altri materiali, perché qui ritroviamo del gel per capelli, delle rocce per acquario, polistirolo, dei detersivi per pavimenti.. quindi vediamo anche il contrasto tra la natura con colori che una volta erano vivaci, ma che ora si stanno spegnendo sempre di più, quasi virando verso il bianco e nero svuotato e sbiadito e invece una natura moderna artificiale, caratterizzata dal lavoro dell’uomo, che è sempre più satura di colori vivaci, sgargianti. Una natura artefatta quindi attraente per i suoi colori, ma forse velenosa”.

Un giornalista chiede all’artista come decida con quali materiali lavorare, lui risponde: “la scelta avviene sulla base di due criteri: il primo è quello della predilezione degli oggetti che appartengono alla mia vita quotidiana, che formano quindi il mio paesaggio personale; il secondo invece è quello di scegliere i materiali che traggo da gruppi o da persone che seguo, tra i quali c’è Dave Foreman. Dave ha dato vita a un movimento ecologista radicale e che ha scritto una sorta di manuale nel quale descrive come tutti i materiali domestici che rendono la nostra vita confortevole, in realtà nascondono un grande caos e un grande orrore, ad esempio ci spiega come l’unione di due o più prodotti di uso comune possono creare dei veri e propri esplosivi. Sicuramente leggere cose come questa cambia il modo in cui guardo il mondo ed è per questo che li ho inseriti nella mia opera.”

Entrando nella seconda sala ci si imbatte in due grandi lavori, che si rifanno alle grandi cartografie medievali chiamate Mappamundis. Nick ci spiega che in quel periodo venivano create non tanto per riprodurre con precisione geografica una certa rappresentazione del mondo, bensì servivano a fare un’istantanea di quel preciso momento storico e quindi riportavano elementi di natura geografica, storica, spirituale, mitologica e tutti gli aspetti che descrivevano com’era l’uomo in quel momento. Aggiunge: “mi è piaciuta molto questa idea, così ho deciso di ricreare la mia Mappamundis. Quella più grande riunisce oggetti di vario tipo che vengono dalla mia casa, come libri e attrezzi; quello più piccolo è invece un lavoro che potrei definire una ‘tassonomia’, che riunisce oggetti antichi e nuovi. Al centro abbiamo due sorte di asce che sono state forgiate sulla base di un calco, che deriva proprio da due antichissimi oggetti preistorici, probabilmente risalenti a 5000 anni fa, in altre parti invece si trovano degli attrezzi giocattolo, che ho acquistato in un negozio di giochi vicino casa mia. Questa tassonomia, questa Mappamundis, riunisce oggetti che vengono sospesi nel tempo, perché sia quelli più antichi che quelli più nuovi vengono posti su un piano di parità, per essere osservati allo stesso modo.”

Continuando la visita ci troviamo di fronte a una fotografia: c’è un ragazzo, ritratto di spalle, vestito con abiti sdruciti. Nick ci spiega che uno dei molteplici aspetti che coinvolge il ritorno alla natura, protagonista della mostra, fa riferimento a Theodore Kaczynski noto come Unabomber. Ted Kaczynski è stato un professore universitario di matematica, che ad un certo punto ha avuto una rivoluzione anti tecnologica e si è dedicato a una sua personale visione di ritorno alla natura, seppure in maniera criminale. Nick è riuscito a ottenere all’asta alcuni indumenti di Kaczynski e li ha indossati autoritraendosi in questa fotografia, come se fosse lo stesso Unabomber: ciò non vuole essere un omaggio nei confronti del “bombarolo postale”, bensì questo ritratto rientra in quelle grandi allegorie che fanno parte della stessa storia dell’arte.

Spostandoci in un’altra sala ci troviamo di fronte a due grandi installazioni: una è una composizione di attrezzi da palestra e altri materiali, tra i quali una lettiera per gatti; mentre l’altra è formata da pezzi di bilancere sparsi sul pavimento. Incuriositi, gli chiediamo come mai la scelta della lettiera. Lui ci risponde: “la lettiera per gatti è uno dei tanti materiali che ho individuato come surrogati, che l’uomo ha creato per sostituire qualcosa che in realtà una volta veniva dalla natura. In questo gioco di analogie, dove la coca cola è il surrogato dell’acqua e il polistirolo si sostituisce alle pietre, la lettiera si ricollega al concetto di sporcizia. Questo mi ha fatto capire che viviamo in paesaggi che sono intossicati, quindi viviamo in un perenne stato di alterazione, che non è dentro di noi provocato magari da sostanze come le droghe, bensì questa intossicazione ci circonda, è ovunque nel mondo in cui viviamo”.
Riguardo la seconda opera della sala, una giornalista si chiede se ci sia qualche riferimento con gli strumenti di tortura. Lui dice: “che si tratti di tortura o di palestra, il corpo umano è qualcosa che richiama in me il concetto di scultura figurativa. Ho scelto questa attrezzatura perché credo che la palestra ricordi molti concetti della scultura classica, poiché nell’attrezzo vengono messi in campo esercizi che riguardano gambe, braccia, petto.. e qui quindi l’oggetto della scultura non è più un materiale, bensì il corpo umano stesso. Il corpo, come la scultura, viene scolpito per uno scopo preciso. Invece qui vediamo degli attrezzi che richiamano l’idea del corpo disintegrato, quindi l’analogia con la tortura c’è, perché se non ci si tortura un po’ non si ottiene niente e lo stesso vale anche in palestra”.

Di fronte a una statua di ispirazione ellenica, che sembra sia stata inondata da uno strano blob verde e gelatinoso, Nick afferma: “quest’opera richiama il mio interesse per il lavoro che compie la natura nel forgiare i suoi elementi nel tempo e che risultano quindi come il prodotto di un insieme di forze molto complesse che agiscono contemporaneamente, pensiamo ai processi di erosione o di accumulo, quindi la natura che compie questi processi per creare degli elementi che la compongono. Io ho cercato di riprodurre la stessa dinamica, quasi come un fiume che scava una vallata piuttosto di un ghiacciaio che si forma, ovviamente in un modo esagerato, eccessivo. Qui abbiamo la statua che rappresenta l’ordine classico, contrapposto a quello naturale; quindi l’ordine artefatto dall’uomo, rappresentato dalla statua classica che racchiude in sè tutta la storia della scultura, contrapposta ai processi naturali”.

L’Haruspex era una figura che veniva utilizzata dai romani. Quando decidevano se insediarsi in una zona per fondare una nuova città, mandavano in avanscoperta questa persona, la quale aveva il compito di catturare degli animali del luogo per poi sezionarli e analizzare le qualità delle sue interiora, il che permetteva di capire se quella fosse una zona fertile e buona dove vivere. “Tutto ciò richiama il concetto del ‘sei quello che mangi’ – afferma Nick – e mi piaceva molto quest’idea e l’ho voluta rendere esplicita. I materiali che compongono questa scultura li ho trovati gettati fuori da casa mia, quindi se siamo quello che mangiamo, possiamo certamente dire che siamo cemento, siamo sigarette, siamo bibite energetiche, siamo piastrelle, siamo mattoni…siamo tutto questo! Il concetto di stratificazione che ritroviamo qui e anche nei parallelepipedi di plexiglass , simboleggiano anche la terra, come stratificazione di materiali”.

Davanti a una statua, che ricorda fortemente le geometrie create dalle vene e dalle arterie del corpo umano, l’artista afferma: “quest’opera si rifà in un certo senso a quello che in natura cresce spontaneamente rigoglioso; quindi io ho cercato a modo mio di far crescere una scultura, utilizzando come materiale il rame, anche se l’anima di quest’opera è in metallo e poi l’ho lasciata riposare per lungo tempo, fino a che si sono formate queste escrescenze che possono ricordare davvero quelle di un elemento naturale che cresce e si sviluppa. In questo modo ho anche evitato l’annosa questione delle composizioni, qualcosa che non ho mai amato”.

Osservando i suoi lavori, mi chiedo se trasformare la spazzatura e i prodotti industriali in opere d’arte, renda la natura artefatta qualcosa di bello e positivo ai nostri occhi; quindi domando all’artista se per lui questa “nuova” natura, possa essere una specie di sostituta di quella naturale. Lui mi risponde: “fino ad un certo punto sono contro questo tipo di natura moderna, cerco anche di contrappormi ad essa, però poi non uso materiali naturali, quindi in un certo senso sfrutto questa nuova natura. Cerco anche di osservare, mi considero un pittore del paesaggio che prende atto di quello che lo circonda, anche se sicuramente ritengo che sia nostro dovere preservare quello che abbiamo in natura. Io stesso provengo da una zona dove la natura è molto importante e sarebbe davvero un peccato se venisse perso questo patrimonio naturale”.

Questi sono i paesaggi che circondano la vita di Nick Van Woert.
Al MAMbo la natura chiama e lui risponde così!

Cristina

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