Il Palazzo Enciclopedico @ La Biennale di Venezia 2013 [update 0.7]

polpetta
Tempo di lettura: 5' min
23 November 2013
Art

Domenica 24 novembre si conclude la 55° Biennale d’Arte, curata quest’anno dal più giovane critico mai sbarcato alla Mostra d’Arte Veneziana (40 anni tondi tondi), Massimiliano Gioni.

 

Qualsiasi Biennale, si sa, è odiata e amata dalla stampa e dagli esperti del settore; ogni due anni infatti i commenti, le opinioni, le polemiche e i tentativi più o meno riusciti di decodificare la sua poetica, si sprecano. Quest’anno in particolar modo, l’ermetismo e il misterioso, la fanno da padrone.

La 55° Mostra Veneziana è ispirata all’utopistica visione di Marino Auriti, il quale nel 1955 svelò il suo progetto di un Palazzo Enciclopedico: un museo immaginario che avrebbe dovuto ospitare tutto il sapere dell’umanità, racchiuso in un edificio di 136 piani (700 metri di altezza), situato nella città di Washington. Lo stesso curatore afferma: “l’impresa rimase incompiuta, ma il sogno di una conoscenza universale e totalizzante attraversa la storia dell’arte e dell’umanità e accomuna personaggi eccentrici come Auriti a molti artisti, scrittori, scienziati e profeti che hanno cercato, spesso in vano, di costruire un’immagine del mondo capace di sintetizzarne l’infinita varietà e ricchezza. Oggi, alle prese con il diluvio dell’informazione, questi tentativi di strutturare la conoscenza in sistemi onnicomprensivi ci appaiono ancora più necessari e ancor più disperati.”

La ricerca della conoscenza, in questo caso in campo prettamente artistico, induce Massimiliano Gioni a favorire un dialogo serrato tra gli artisti del passato e quelli del presente. La mostra-ricerca di quest’anno mira a svelare le relazioni e gli intrecci che avvengono, spesso casualmente, tra civiltà diverse e lontane tra loro (geograficamente e cronologicamente parlando); tra artisti appartenenti a stili e ad epoche differenti; e tra le infinite maniere di concepire la realtà e le realtà altre, che hanno caratterizzato la storia dell’uomo fin dalla nascita dei tempi. Da un lato quindi è la realtà quotidiana ad essere portata in tavola, dall’altro ci troviamo di fronte a manufatti che sembrano essere usciti dalle Wunderkammern del ‘500.

Tutto ciò può provocare confusione negli spettatori e far arricciare il naso a chi, come me, è dell’idea che la Biennale di Venezia dovrebbe essere quella finestra sul mondo artistico contemporaneo più all’avanguardia; il nostro sguardo dovrebbe essere portato al futuro, mentre in questo caso si è lasciato troppo spazio all’arte del “passato”. Sicuramente le tematiche della Mostra Internazionale sono state attentamente indagate dai suoi organizzatori ma, dal mio modesto punto di vista, molte relazioni sono state un po’ “forzate”.

Oltre al rapporto tra quotidiano e passato, l’altro grande tema che viene analizzato è quello dell’immagine. A questo proposito lo stesso Gioni dichiara “non scelgo solo gli artisti, ma le opere che raccontano tante storie. Questa però non è una mostra sull’occulto, sullo spiritismo, vuole invece ricordare che siamo medium della mente, delle immagini. Oggi non siamo posseduti dalle voci degli spiriti ma dai media digitali”. Il concetto che l’immagine sia un’entità viva, pulsante, dotata di poteri magici e capace di condizionare, modificare, perfino guarire l’uomo e ciò che lo circonda, oggi ci appare come un concetto superato, arcaico. Eppure ci troviamo in un epoca che, più di tutte le altre, consacra il potere talismanico dell’immagine.

Oltre a questi grandi temi, sono innumerevoli gli argomenti che mettono a confronto e che fanno dialogare i diversi artisti tra di loro: la rappresentazione dell’invisibile, del divino e del religioso; il rapporto tra l’immagine e il mondo della natura; l’esercizio dell’immaginazione attraverso la scrittura e il disegno; la tensione tra interno ed esterno, tra inclusione ed esclusione; la celebrazione del libro come strumento di conoscenza ma anche come rifugio o come via di fuga nel mondo della fantasia; i diversi modi di immaginare il futuro o di interpretare il presente e il passato; la sessualità indagata in tutte le sue forme; l’esplorazione del mondo dell’informazione e dei mass media nell’era digitale.

La Biennale sdoppiata nelle sedi dei Giardini e dell’Arsenale, è suddivisa in due grandi blocchi: la mostra per padiglioni nazionali, ciascuno con il suo curatore e il suo progetto; e la Mostra Internazionale di Gioni.

Una serie di progetti in esterni di John Bock, Ragnar Kjartansson, Marco Paolini, Erik van Lieshout e altri, arricchisce il percorso della mostra che si espande nel Giardino delle Vergini.  Alcune di queste performance e installazioni trovano ispirazione nella tradizione cinquecentesca dei “teatri del mondo”, raffigurazioni allegoriche dell’universo (l’ennesimo paragone con l’arte del passato).

Il Padiglione Italia intitolato Vice versa, propone un viaggio ideale nell’arte italiana di oggi ma, ancora una volta, anche di ieri. Il Padiglione Italia è a cura di Bartolomeo Pietromarchi, il quale lo descrive come “un ritratto dell’arte recente letta come un atlante di temi e di attitudini in dialogo con l’eredità storica e l’attualità, con la dimensione locale e quella internazionale. Un dialogo incrociato di corrispondenze, derivazioni e differenze tra figure di maestri riconosciuti e artisti delle generazioni successive. Una topografia inedita, che consente di rileggere alcune traiettorie fondamentali dell’arte italiana recente, di rintracciare percorsi dimenticati, di sanare amnesie culturali e dare nuova visibilità ad autori solitari”. La mostra si articola in sette ambienti (6 stanze e un giardino), che ospitano ciascuno il lavoro di due artisti messi in relazione tra di loro, a seconda di 7 binomi individuati dal curatore: veduta/luogo da Luigi Ghirri e Luca Vitone, corpo/storia sono i temi affrontati dalle opere di Fabio Mauri e Francesco Arena, suono/silenzio da Massimo Bartolini e Francesca Grilli, prospettiva/superficie da Giulio Paolini e Marco Tirelli, familiare/estraneo da Marcello Maloberti e Flavio Favelli, sistema/frammento da Gianfranco Baruchello e Elisabetta Benassi,tragedia/commedia da Sislej Xhafa e Piero Golia.

Un po’ di numeri. Durante la 55° edizione, sono 88 i Paesi partecipanti, 10 dei quali partecipano per la prima volta: Angola, Bahamas, Regno del Bahrain, Repubblica della Costa d’Avorio, Repubblica del Kosovo, Kuwait, Maldive, Paraguay, Tuvalu e, dulcis in fundo, la Santa Sede.

Sono 47 gli Eventi Collaterali voluti dal curatore e sostenuti da enti e istituzioni nazionali e internazionali senza fini di lucro, dislocati in numerose sedi della città di Venezia.

La Giuria presieduta da Jessica Morgan (Gran Bretagna) e composta da Sofía Hernández Chong Cuy (Messico), Francesco Manacorda (Italia), Bisi Silva (Nigeria) e Ali Subotnick (Stati Uniti), assegna 2 Leoni d’oro alla Carriera: all’artista austriaca Maria Lassnig e all’artista italiana Marisa Merz. Il Leone d’oro per il miglior artista della mostra “Il Palazzo Enciclopedico” va a Tino Sehgal, mentre il vincitore del Leone d’argento è un promettente giovane artista, Camille Henrot. Sono 2 infine, le menzioni speciali attribuite a Sharon Hayes e al Modenese Roberto Cuoghi.

Tutto questo pot pourri di artisti, di immagini, di suoni, di sensazioni e di emozioni, crea una struttura tanto articolata quanto fragile; un’architettura intitolata Palazzo Enciclopedico, che riassume al suo interno visioni del mondo e di altri mondi, ideali, reali e deliranti allo stesso tempo. Le polemiche restano. Le opinioni divergenti avanzano. I tentativi di codificare un’impresa ardua e complessa come quella Veneziana resistono. Ma non si può non ammettere che la Biennale non è altro che il tentativo di concentrare in un unico luogo, tutte le infinite e controverse sfaccettature dell’arte contemporanea: in poche parole, il sogno utopistico di Auriti.

Cristina Bigliatti

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