BACK TO THE ROOTS? Forse.

luca-vitale
Tempo di lettura: 4' min
8 October 2015
Il Giovedì di Vith

Gli anni passano e il dancefloor è sempre più decisivo. Provate a pensarci: quanto è determinante la carica della pista per la buona riuscita di una serata ? Direi fondamentale. Ma quando è l’organizzazione che va verso le richieste della clientela costruendo serate ad hoc sulla base di queste ultime ? Che risultati si hanno ? E gli artisti ? E’ giusto che essi vadano incontro alle esigenze sempre più influenti del pubblico snaturando per la maggior parte delle volte la propria vocazione artistica pur di accondiscendere alle aspettative ?

Recentemente il buon Levon Vincent (che troverete a roBOt Festival venerdi sera a Bologna Fiere, imperdibile), ha manifestato il suo dissenso attraverso un post su Facebook molto pungente e altrettanto volto a una riflessione profonda:

Techno has never reminded me so much of heavy metal as todays’ era. Where has the hint of Jazz influence gone? Afro-Cuban rhythms? Still, interesting stuff these days, but can a guy get a 7th chord once and again? Why has the scene shut down all the cultural collage, the melting pot, in favor of just, angst/ angry music? Im bored.

Lo stato ha creato una grande bagarre, anche tra colleghi: tantissimi artisti hanno voluto confrontarsi e/o supportare la teoria di Levon. In particolare, il boss di Poker Flat Steve Bug ha richiamato all’attenzione la mancanza di valori profondi nella musica, di una meccanicità quasi industriale con cui essa viene oramai proposta al popolo della notte, senza fare più riferimento ai capisaldi per la quale la musica è nata. Non a caso Steve si auspica un ritorno a sonorità più tradizionali, proprio per risvegliare nell’animo di chi fa musica quel sentimento primordiale che li ha portati a fare musica, appunto.

C’è anche chi ha apostrofato Levon di megalomania, di un’esulazione troppo semplice rispetto al problema denunciandolo senza azioni concrete, anche a causa (chiaramente) della sua appartenenza al mondo del 4/4 scolastico pertanto non troppo diverso rispetto a coloro che lui addita come “poco originali”.

Partendo dal presupposto che i discorsi assolutisti in campo musicale sono in parte sempre errati, soprattutto quando si coinvolge il pubblico, è opportuno fare alcune valutazioni: non tutti frequentano locali per ascoltare il disco all’ultimo grido, per valutare attentamente un artista o per estrapolare da qualche ora sotto un diffusore connotati filosofico-musicali di spessore; spesso e volentieri un cliente gradisce trascorrere tempo in un bell’ambiente circondato dai propri amici per terminare la serata in modo degno e quindi senza particolari pretese. Ciò che in realtà manca è la passione vera e la voglia di scoprire che ne consegue: se ognuno di noi avesse una formazione musicale standard, partendo dagli albori fino ai giorni nostri, la percezione del suono sarebbe differente, didattica in maniera naturale e quindi chiunque trarrebbe un messaggio più o meno similare da un dj set o un live act. Ma in realtà penso che la musica sia bella perché non convenzionale, perché ognuno può carpirne le proprie sensazioni e farne ciò che vuole, ascoltare, spegnere, pensare, riaccendere, rispegnere e di nuovo riaccendere per poi ripensare. Pianti e sorrisi, gioie e dolori. Questo è ciò che rende la musica sacra, nostra e immacolata. Che tu ascolti techno,house, lirica, canti gregoriani, soul.. Le percezioni che ci comunica la musica partono tutte dalla stessa base. E non c’è nulla di più bello, sinceramente.

Certamente, il mondo della discoteca è brutalmente invaso da una forma di business sempre più vicina a realtà aziendali più che di centri di divertimento. Basti pensare a quanto il dj sia sempre più una figura vicina a una rockstar, con staff dedicati a ogni sua esigenza, con scenografie di default che vengono accompagnate alla musica durante le proprie performances e cachet astronomici più da “show biz” che da locale da ballo. Questa è la vera ragione del messaggio di Levon Vincent. La radice del problema della poca inventiva degli ultimi tempi.

Come si può ricercare ed innovare se la concentrazione non è più rivolta sulla musica bensì a tutto il contesto intorno? Come si può proporre qualcosa di nuovo al pubblico che sia trainante e non trascinante ? Semplice: la maggior parte dei dj è compiacente, il bacino di utenza aumenta esponenzialmente, e di conseguenza soldi, date, visibilità. Ma tutto questo, cosa c’entra con la Musica?

Esse dovrebbero essere pura correlazione dell’essere Artisti. E non una strategia mirata proprio a certi obiettivi. Ibiza ad esempio ne è la prova maestra; colei che è additata come La Mecca della musica mondiale non è altro che un concentrato di business e nomi di massa che mescolati assieme ottengono risultati mediocri, poco probanti per il Clubbing che conta davvero nel mondo.

Insomma caro Levon, comprendo il tuo lamento, legittimo e giustissimo, ma tu stesso fai parte di questo sistema complesso e oramai saturo di valori poco inerenti alle note musicali. Dimentichi le tue origini, quando il tuo sound “ass-shakery” bello assestato erano 3-4 suoni assieme, pazzeschi, ma molto più distruttivo della clericalità che auspichi nel tuo stato. Anziché chiacchierare e aprire questo dibattito francamente fine a se stesso, perché non provare a cambiare le cose alla base ? Back to the roots. Totale. Eliminazione di sonorità ritmate e ricerca dei primi suoni analogici completamente aritmici. Sicuramente saresti meno annoiato e la musica non sarebbe “arrabbiata” come la definisci, ma scommetti che la tua vita da Artista avrebbe vita breve ? In fondo, come si suol dire… Il cliente ha sempre ragione, anche nei club, ahimè.

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