GoGo Penguin @ Circolo Magnolia – 14.02.18

gloria-soverini
Tempo di lettura: 2' min
16 February 2018
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Bardo. Le luci di stasera come nel video del primo singolo estratto da A Humdrum Star. Magenta e blu soprattutto, che li tagliano attraverso il fumo e il buio.

Nel pit, sento alle mie spalle l’attesa di un pubblico che non saprei classificare. Ecco cosa fanno i Gogo Penguin, confondere le acque e unire tutto insieme con il loro genere-non-genere, in effetti jazz contemporaneo che molti insistono a dire “anche elettronico”.

No, di elettronico non c’è niente – almeno, non negli strumenti: pianoforte, contrabbasso e batteria.
Se è vero che il jazz guida la composizione su più livelli, l’elettronica la sostiene con beat ripetitivi e soluzioni uniche che all’orecchio piacciono tanto; non a caso, è proprio il contrabbassista Nick Blacka a dire che le influenze maggiori del trio vanno dagli Aphex Twin ai Four Tet, passando per Radiohead, Beastie Boys e Queens of the Stone Age.

Jazz contemporaneo in pratica, elettronica in potenza, classica in formazione.
Un bellissimo casino che si fa strada interpretato sul palco del Magnolia e anche fra le file di chi assiste: c’è chi ondeggia, chi balla, chi si gode tutto con gli occhi chiusi.

È magia che vola veloce fra i brani dell’album appena nato (Strid, che ti fa sentire il contrabbasso sottopelle, Bardo con i suoi colori, Raven che ti fa dimenticare dove sei e va verso il post-rock sui tasti di Chris Illingworth, Reactor che forse è la canzone con il ritmo che mette tutti d’accordo sul da farsi grazie alle bacchette di Rob Turner); ogni tanto, qualche passo indietro verso Smarra, Hopopono e Unspeakable World.

Un live che sorprende come una Wunderkammer più ordinata, che fa cadere le aspettative e ne costruisce di nuove, che lascia libertà, nella catalogazione di più generi che, uniti insieme, ti fanno dire “E adesso?”.
E adesso è andato anche il bis, si torna al freddo per correre a prendere il 73 da Linate verso il centro.

Words and pics by Gloria Soverini

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