Ho visto Gaika e sono rimasto deluso ( ma NON dal concerto)

polpetta
Tempo di lettura: 3' min
10 December 2018
Review 4 U
Clicca qui per pulire l'area di disegno

Vidi Gaika per la prima volta a Torino tre anni fa. Dovetti attendere 30 minuti in coda, perchè la sala in cui si esibiva era quella del palco minore del Club to Club. Una delle migliori decisioni che presi in quella edizione.

Anche sabato sera abbiamo fatto benissimo ad andare al Bronson, da sempre uno dei luoghi che offrono i migliori live in Italia, e non è stato certo il concerto a deludermi.

Gaika è una delle voci più interessanti e attuali provenienti dal sottobosco musicale di Londra. Il suo è un suono che divora i generi e li risputa fuori: rap, techno, R&B, dance hall e industrial, ogni elemento viene utlizzato in maniera inedita, creando dialoghi inattesi. Il risultato è qualcosa di violentemente spiazzante. Lo conosciamo da tempo, ma è già cambiato nell’istante in cui lo stiamo sentendo.

Anche i suoi testi sono violenti, la reazione di un figlio di immigrati a una nazione che, per citare le sue parole, “ci vuole uccidere”.

Il live di sabato ha rappresentato perfettamente questa attitudine: lo specchio di una realtà cupa, soffocante e caotica, ma nella quale apre piccoli squarci per farci intravedere un’umanità ancora possibile.

Certo, Gaika non ha nessuna intenzione di farci sentire al sicuro, non in un mondo che sembra intraprendere ogni giorno di più la strada dell’odio contro il capro espiatorio. Toccatelo e vi uccideremo. Tutti.

 

Killem all, bodies in the street

Your mother’s tears in the hot concrete

Madame Guillotine, Madame Guillotine

(continua sotto)

Questo diceva l’uomo che abbiamo visto sul palco sabato sera, mentre la base apocalittica che aveva alle spalle lo aiutava a farci capire che no, non è così che vorrebbe andasse. Se vi è mai capitato di essere chiamati “buonisti” da qualcuno, potete benissimo capire le emozioni contrastanti che aleggiavano al Bronson durante il concerto.

Perchè Gaika non è un signore della guerra.

Basic Volume, il suo disco uscito a Luglio, è dedicato al padre scomparso due anni fa: un immigrato che ha lavorato per tutta la sua esistenza con l’obiettivo di dare una futuro migliore ai propri figli. Aveva fondato un’impresa che produceva nuove tecnologie. Il futurismo, nell’afrofuturismo di Gaika, viene da lui.

Quando Gaika canta l’importanza dei campioni in tempi difficili, fuori dalle metafore inquietanti, ne ha in mente uno ben preciso.

 

But I hear God in your voice

I see you in the winds and dreams

I feel you everywhere

Don’t cry for me brother

Just fight till you drop

 

Your man’s strength is all as we go in these streets

For the slaves, free the champions

We enter these streets  

 

E Gaika non è un supereroe.

Quando sono andato a complimentarmi con lui alla fine del concerto, ho visto un ragazzo deluso.

Già, perchè il Bronson stavolta era praticamente vuoto. Si è beffardamente riempito solo quando il concerto è finito, per dar vita a una serata divertentissima, che avrebbe però potuto essere perfetta. Chissà cosa stava pensando Gaika nel momento in cui l’ho trovato in un angolo del locale, mentre appoggiato al muro guardava il cellulare, collegandosi con un altrove sicuramente più conscio della sua esistenza.

Forse mentre partiva un pezzo hip hop stava solo rafforzando la sua convinzione: voglio fare dischi gangsta, ma non quelli che ci chiede l’industria discografica. Non voglio che siano adatti a tutti. Non voglio farli sentire a loro agio in questo mondo, costi quel che costi.

Anche io ero deluso. Il Bronson ci aveva offerto il qui e ora, e voi non c’eravate.

Forse c’erano tante altre cose da fare, forse non siamo riusciti a farvi conoscere Gaika in tempo. Sospendo il giudizio.

 

Il giorno successivo ho organizzato un pranzo. Mi hanno aiutato a cucinare due ragazzi richiedenti asilo provenienti dalla Guinea. Siamo ottimi vicini di casa. Entrambi studiano e fanno volontariato, somigliano più al padre di Gaika che al personaggio che Gaika interpreta sul palco per mostrarci la sua rabbia. E somigliano più alla realtà, e al qui e ora, di quello che vogliono farci pensare i giornali.

Quando ho raccontato del concerto, uno di loro ha subito tirato fuori il cellulare per cercare informazioni sull’artista. Collegandosi con un altrove sicuramente più conscio della sua esistenza.

Forse c’è una speranza per il futuro dei concerti in Italia.

 

Words: Matteo Buriani
Pics: Cecilia Secchieri

Ehi, hai mai sentito parlare di Patreon?
Dal momento che sei qui, perché non contribuire?

Patreon è un sistema di micro-donanzioni ricorrenti con il quale supportare economicamente Polpetta e permetterci di continuare ad offrirti contenuti favolosi.

Diventare membro di Patreon è facilissimo!

Contribuisci ora

Partecipa alla conversazione!