DIMENSIONS FESTIVAL 2016 / A PLACE TO BE

richard
Tempo di lettura: 6' min
7 September 2016
Festival, Review 4 U

Quando si torna dalle vacanze ci portiamo sempre appresso la sensazione che non siano durate abbastanza, uno stato d’animo di leggera amarezza dovuta alla tipica nostalgia del ritorno alla routine quotidiana, fino a quel momento spezzata da qualunque cosa che non fosse lavoro. Questa sensazione dura in genere può durare qualche giorno, o un intera settimana, tempo nel quale ripensiamo alle esperienze vissute, alle persone incontrate e ai posti che abbiamo visitato.

Quest’anno abbiamo deciso di spezzare la nostra routine tornando al Dimensions Festival di Pola, Croazia, optando tra l’altro per la scelta del soggiorno in campeggio. Una scelta decisamente hardcore non essendo più tanto baldi e giovani come la maggior parte dei frequentatori di questo evento, per lo più ragazzi inglesi sulla ventina abbastanza sciroccati, ma del resto si sa che gli inglesi in vacanza mettono da parte il bon ton perdendo di conseguenza ogni sorta di criterio morale. Tuttavia possiamo dire di aver vissuto un’esperienza più che positiva, essendo la camping zone relativamente tranquilla rispetto a come ci fosse stata descritto in precedenza. Certo non sono mancate le classiche scene di paura (nei confronti dei regolari controlli “anti-doping” dell’unità cinofila croata) e delirio (di ragazzini in botta perenne dalla mattina alla sera), e del resto non ci si può aspettare diversamente ma tornando al festival vero e proprio che per questa edizione celebrava i cinque anni di vita, lo abbiamo ritrovato in splendida forma, forse musicalmente anche più maturo rispetto alle precedenti edizioni, toccando con mano la volontà di dare un prodotto sempre più eterogeneo e diverso dai canoni del solito evento prettamente techno.

Il consueto show inaugurale all’anfiteatro romano nel centro di Pola ha visto esibirsi quest’anno Kamasi Washington, Massive Attack e Moodymann. Il primo insieme all’inseparabile sassofono ha trascinato la band in un’ora e mezzo di puro jazz tra improvvisazioni, virtuosismi, scambi di battute senza mai oscurarsi a vicenda, uno spettacolo che piace o non piace senza troppe vie di mezzo, come del resto è l’essenza del jazz stesso. Ma è per via di questa natura che lo show di Kamasi e soci avrebbe reso molto di più in un club e per un pubblico più selezionato rispetto ad un’arena in cui l’attesa era percepita quasi esclusivamente per i Massive Attack. Dopo una mezzora di cambio palco la band di Bristol attacca con Hymn Of The Big Wheel, alla voce un Horace Andy che canterà più della metà dei brani in scaletta, passando per la nuova Ritual Spirit, Man Next Door, Safe From Harm e i grandi classici di Mezzanine, lo spettacolo è lo stesso ormai da anni, forse per pigrizia o per coerenza di princìpi, non lo sapremo mai come non sapremo mai se tra loro si celi l’identità di Banksy oppure no. Luci minimali che accompagnano testi e immagini di denuncia sociale legate per lo più al luogo in cui si stanno esibendo, il loro è uno show oramai scontato ma che nonostante tutto non riesce a stancare, salutano il pubblico con la meravigliosa Unfinished Sympathy e abbandonano la scena senza troppi congedi. A mettere la parola fine alla serata inaugurale Moodymann come sempre accompagnato da una coppia di ballerine ai lati della consolle, il suo set è per lo più funky e decisamente commerciale da cui traspare l’idea di voler far divertire un sacco di persone che in realtà avrebbero tranquillamente barattato le ballerine per un altro encore dei Massive Attack, e l’odore di kebab che arriva da oltre le colonne dell’anfiteatro ci fa dimenticare in fretta sia dischi che ballerine.

Fort Punta Christo come sempre è una delle location più belle in assoluto, l’omonima fortezza, i sentieri sterrati che si snodano sulla collina, quei sassi e quelle buche che mettono costantemente a repentaglio le caviglie, ma poi c’è il vero valore aggiunto di questo festival, l’inimitabile Beach Stage, con quel mare che nessun altro festival europeo può vantarsi di avere, senza contare il clima meraviglioso, le acque cristalline e la totalità di good vibes. E’ lo stage che personalmente ci ha regalato più emozioni, come il set di Jeremy Underground nella prima giornata, l’originalissimo Awesome Tapes From Africa che mixa esclusivamente con le audio cassette della sua collezione importate da quelle scene musicali che senza l’omonimo blog non sarebbero mai state scoperte dal resto del mondo, e senza allontanarsi dal continente africano anche il live del nigeriano Dele Sosimi e la sua Afrobeat Orchestra ha certamente lasciato il segno siglando la fine del pomeriggio con un meraviglioso tramonto sul mare a far loro da sfondo.

Ed è proprio quando cala la sera che il Dimensions cambia aspetto, e dalle good vibes marittime si passa all’impatto sonoro dei palchi notturni, l’aria si rinfresca, cambiano le facce, è solo la voglia di divertirsi a restare inalterata. Riguardo al primo che si incontra sul cammino per il forte, The Clearing stage, Moritz Von Oswald Trio, Octave One e Daniel Avery i live che personalmente si sono maggiormente distinti, oltre ovviamente al leggendario Larry Heard aka Mr Fingers, che suona un set puntando direttamente al cuore delle migliaia di presenti, romantico e assolutamente fantastico, un cammino il suo che spazia tra i più classici dei suoi dischi, raggiunto poi sul palco per l’ultimo pezzo dall’amico Chad White (voce del progetto Larry Heard Presents Mr White), uno di quegli artisti da vedere dal primo all’ultimo minuto. Continuando la salita verso Fort Punta Christo lo stage  successivo in cui potreste imbattervi è il fossato del forte, The Moat, scendendo una ripida gradinata di metallo vi trovate in mezzo ad alti muri di pietra dove  i decibel ribalzano come proiettili dritti nei vostri timpani, è lo stage più techno nonché quello più difficile. E’ qui infatti che Ben Ufo, Rodhad e Dj Stingray nel finale di sabato sera regalano un set di cui parlare con gli amici una volta a casa. L’ultimo infatti è stato sicuramente il più particolare, ritmiche breakbeat su basi techno prettamente da manuale dell’old school detroitiana, è un viaggio nello spazio tempo interrotto solamente dal sorgere del sole che segna la fine di un’altra nottata magica, e il merito di questa magia non può che andare anche a Midland che nello Stables stage incanta tra delfini gonfiabili volanti. Una menzione particolare va assolutamente al giapponese Soichi Terada, vero istrione del palco Void, un live house partito a razzo sulle note dei Led Zeppelin, tra tastiere e siparietti comici tra i quali mimare con un pezzo di carta il cantato di una canzone o aizzare il pubblico con improbabili balletti. Il bello di queste occasioni è proprio il potersi gustare a pieno nomi che in Italia generalmente non sentiremmo praticamente mai, come Jon K e il suo spaziare dalla techno alla dub tra i cespugli del The Garden, la drum’n’bass del belga Alix Perez in compagnia degli mc’s SP.MC e Fokus, poi Joe Claussel e la sua ossessione per l’isolator, e infine come si può dire di essere stati al Dimensions senza aver partecipato ad almeno uno dei suoi boat party?
Dopo l’ennesima scarpinata su e giù per la collina arriviamo puntuali all’appuntamento nel punto di attracco sul versante opposto della collina, talmente puntuali che un paio di addetti ai lavori ci scambiano per due tecnici iniziando a blaterarci cose in croato, ma appurato che siamo solo dei clienti in anticipo saliamo a bordo e ordiniamo la prima birra. L’imbarcazione non è molto grande rispetto alle altre che vediamo attraccate, e sventola la bandiera di Ampere, noto club di Anversa. Capiamo dal volume di gente che Ampere non sia conosciutissimo tra la maggior parte dei ragazzini inglesi che popolano il festival e ci può stare, tuttavia al momento della partenza si contano una settantina di persone, quantità che poi si rivelerà perfetta per l’occasione. Scettici fin dall’ inizio (specialmente nei confronti delle feste in barca, dove se la musica non dovesse essere di vostro gradimento non avreste nessuna via di scampo se non lanciarvi fuori bordo) ci siamo dovuti ricredere dalla metà del set di Ryan Elliot, il primo ad aver suonato. Tutt’altro che techno, molto house, spolverando addirittura qualche vecchia hit commerciale o alcuni remix come quello di una quasi irriconoscibile Bad Girl di Donna Summer che fanno impazzire la ciurma. Finisce il suo tempo però in maniera troppo commerciale, annoiando leggermente e dando l’impressione di non essere troppo coinvolto, perlomeno non quanto il pubblico. Di tutt’altra pasta K Alexi Shelby, di Chicago ma trapiantato a Berlino, di lui non conosciamo granchè se non che con un look alla R Kelly ha spedito tutti indietro nel tempo suonando dischi come Needin’ You di David Morales e Horny ’98 di Mousse T, dimostrando che per ballare ed essere felici a volte basta semplicemente pescare dall’album dei bei ricordi senza doversi affidare a chissà quale rarità. L’onore della chiusura delle danze è andata alla coppia formata dal patron del locale, nonché fondatore e direttore creativo Joachim Marynen, e ad una giovanissima resident di Ampere, HEMER. La vera techno arriva insieme a loro, affrontando l’attracco alla banchina nel bel mezzo di un viaggio siderale chiudendo in bellezza con un disco di Todd Terje bruciando un’ultima ora in cui il tempo sembra essersi piegato al battito d’ali di una ghiandaia marina. Tuttavia la festa è finita, e al ritorno alla realtà provvedono, oltre ad un brusco marinaio croato, l’immancabile coro “ultimo ultimo” dell’altrettanto immancabile delegazione italiana presente a bordo. Boat party promosso come tutto il resto del festival e, cibo degli stand a parte, ancora una volta il Dimensions lascia dietro di noi (o dentro di noi) una di quelle esperienze uniche e autentiche, per le quali vale sicuramente la pena di tornare a casa senza nemmeno una kuna in tasca.

 

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