Club To Club 2018: tra effetti speciali e note stonate

#C2C18

richard
Tempo di lettura: 5' min
6 November 2018
Festival, Review 4 U
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Lo scorso weekend a Torino, si è svolta la diciottesima edizione di Club To Club Festival. Per chi vi scrive è stato un appuntamento importante essendoci stato solo due volte dalla sua nascita nel 2002. Il mio primo Club To Club risale al lontano 2006, quando il festival torinese si svolgeva nella sua forma originaria che prevedeva infatti un circuito di club incentrato perlopiù nella zona dei Murazzi del Po. Già allora il suo punto di forza – rimasto invariato negli anni – era la scelta artistica all’avanguardia. Ellen Allien & Apparat (che suonavano ancora in coppia), Dj Pete, Rolando e Robert Hood sono alcuni nomi che ricordo di quella edizione, e il potersi muovere a piedi o con i mezzi pubblici da un club all’altro sono le cose che mi fecero innamorare del Club To Club. Proprio per come me lo ricordavo, dopo questa diciottesima edizione provo sentimenti decisamente contrastanti. Non mi fraintendete, quella dei giorni scorsi è stata una grande edizione con artisti di assoluto pregio e live meravigliosi. Ma l’aver ritrovato un appuntamento musicale uniformato ai grandi festival europei mi ha lasciato quantomeno perplesso. Ma su questo ci torneremo più tardi.

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club to club c2c18

Iniziando dalla serata gratuita di giovedì sera, nella sorprendente cornice delle OGR – Officine Grandi Riparazioni Torino – il live di Tirzah e il set finale di Call Super hanno contribuito a scaldare una fredda e umida serata di novembre. Uno spazio industriale riqualificato e impreziosito da alcune opere di Artissima, tra le quali l’installazione di un drive-in post apocalittico dell’artista Mike Nelson. Interessante, anche dal punto di vista dell’accostamento tra suoni e visual, l’esibizione di Gang Of Ducks Present Yatch Club Av Show. Meno memorabile invece il set di Palm Wine.

Venerdì, aperti gli spazi del Lingotto, si entra nel vivo del festival. Belli gli Iceage, ma non li rivedrei. Chi ho rivisto estremamente volentieri invece sono i Beach House. Volumi perfetti e visual semplici, essenziali, azzeccatissimi. Si crea subito un’atmosfera calda, intima come una cena romantica con la ragazza o il ragazzo dei vostri sogni, nonostante lo spazio davanti al main stage quasi pieno. Nel Crack Stage (frutto della collaborazione con Crack magazine) David August e Skee Mask i più divertenti, ma ritornando al main stage il set più discusso è stato senz’altro quello di Jamie XX.

Il remixer inglese si è lasciato andare ad un set decisamente estroso. Balzando da un genere all’altro ha spiazzato un po’ i technocrati più puri ma accontentando comunque la maggior parte del pubblico senza particolari picchi memorabili e chiudendo con la consueta Gosh. Tralasciando la ruffianata di Peggy Gou salita sul palco con la maglia della Juventus, dal suo set ci si aspettava un po’ di brio che invece non è pervenuto. Chiude in modo molto più che dignitoso un’Avalon Emerson più in forma che mai.

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Tornati al Lingotto nella serata di sabato, i ricordi più indelebili restano sicuramente quelli di un Yves Tumor in forma smagliante anche se un po’ incompreso dal pubblico. Movenze alla Iggy Pop e attitudine alla Marilyn Manson, Yves Tumor è un uomo solo al comando. Unico come tutti i suoi show, è come se il teatro performativo si scontrasse ai cento all’ora contro un muro sonoro. Di tutt’altra pasta invece Leon Vinehall: minimalismo contemporaneo e jazz sperimentale per palati fini. Porta in scena il suo secondo album in studio ‘Nothing Is Still’, anche se la sua dimensione è più adatta a un contesto teatrale che a un padiglione fieristico. È l’ultimo di cui ho ricordo prima di catapultarmi nel main stage con Blood Orange.

Nome d’arte di Devonté ‘Dev’ Hynes, potrebbe tranquillamente essere anche lui un uomo solo al comando. Polistrumentista, cantante, autore, compositore, producer. Oltre a tutto questo è stato capace di trovare anche una band altrettanto grandiosa ad accompagnarlo sul palco. Incantano un pubblico esterrefatto per più di un’ora e mezza. È il secondo live migliore della serata, già, perché immagino non ci sia molto da indovinare su chi mettere al primo posto. No, non è dj Nigga Fox se ve lo state chiedendo. Nonostante la buona volontà nel far ballare la folla radunatasi nel main stage, viene indegnamente relegato come siparietto prima dell’atto principale e confinato in uno spazio angusto a fianco alla regia del mixer.

Del resto questa edizione di Club To Club sull’headliner ci ha investito gran parte della strategia comunicativa, sapendo di avere in mano l’asso per vincere la partita. Mentre suona dj Nigga Fox viene montato l’imponente sistema di luci e visual, e Richard David James in arte Aphex Twin non si fa attendere. Il suo è uno spettacolo unico, mai visto prima e come sempre, musicalmente spiazzante. Mentre i volti dei personaggi torinesi più illustri come Andrea Agnelli, Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, Rita Levi Montalcini schizzavano negli schermi con impresso il ghigno beffardo di Aphex, il sistema di luci e laser strizzava l’occhio ai party più selvaggi della rave culture. Un viaggio onirico tra passato presente e futuro di un genere musicale nel quale Richard David James fa ancora scuola. Forse la vera luce nel buio di questo Club To Club.

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Come previsto è il momento più alto di questa edizione del festival, riuscendo persino a far dimenticare momentaneamente le perplessità iniziali sull’impianto fieristico del Lingotto. Come una gestione poco accurata se non quasi sciatta degli spazi, complice anche la bruttezza estetica dell’impianto fieristico in questone. Oppure l’assenza di servizi igienici e i bagni chimici all’aperto sotto la pioggia incessante (passi per un festival estivo all’aperto, ma in novembre non è il massimo). Impossibile non notare la mancanza di comfort basilari per un festival di portata europea, i controlli forse troppo esasperati all’ingresso (e ok questo magari non dipende esclusivamente dagli organizzatori), e un secondo stage assolutamente non all’altezza dell’evento. Mancanze inspiegabili vista l’esperienza e la bravura degli organizzatori nel portare avanti questo evento per quasi vent’anni. Persino la scelta di piazzare come artista a sorpresa Kode9 – che si sarebbe comunque esibito il giorno dopo – non è stata vista di buon occhio dal pubblico lasciando un main stage poco gremito.

Certo, direte voi, sono passati dodici anni dalla mia prima volta al Club To Club, e le cose cambiano. Eccome se cambiano. In termini numerici non ha più senso confrontarci con la formula delle prime edizioni diventata ormai insostenibile, anche se fu davvero una cosa unica sul panorama italiano. Quel che resta è un festival sicuramente importante, divertente, ma con sempre meno anima. Tant’è che, se si vuole ambire a competere con i più grandi eventi internazionali, la strada è sicuramente questa. Ma nonostante il bilancio positivo e il successo di questa edizione, pare ci sia ancora molto lavoro da fare.

 

Testo di Richard Giori
Foto di Costantino Bedin

 

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