Tash Sultana a Ferrara Sotto le Stelle e l’incapacità di definire il genio

elena-bertelli
Tempo di lettura: 3' min
23 July 2019
Gallery, Review 4 U
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Ha 24 anni, un passato densissimo e ieri sera ha ammutolito Piazza Castello a Ferrara

 

Si chiama Tash Sultana, riferisce il pronome “they” a sé stessa, ha raggiunto il successo con un video su YouTube  – in cui è ripresa mentre suona nella sua “cameretta” – che in men che non si dica ha raggiunto 8 milioni di visualizzazioni.

Non ero pronta ad affrontare questo concerto, arrivato in un lunedì di luglio rovente e di un’Italia bloccata dai treni impazziti. Arrivata sudata e affannata in Piazza Castello, pensavo di non avere più energie per lasciarmi coinvolgere in qualcosa che avrebbe potuto svoltare la serata e l’idea stessa che mi ero fatta di questa giovane polistrumentista venuta dall’Australia, che – a dirla tutta – da disco non mi aveva entusiasmata. E invece mi ritrovo, dopo qualche ora, a chiedermi come definire quello che ho visto e sentito e quali corde magiche Tash Sultana abbia toccato sulle sue chitarre e dentro di me. Ecco forse il punto da cui partire è la dimensione interiore, un fil rouge che ci ha trasportati tra note e visioni in queste quasi due ore sul palco.

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Tash Sultana Ferrara

Non sono solo la tecnica pazzesca e lo stile di Tash Sultana nell’armonizzare e ricamare sui brani originali ad accompagnarti dentro a una dimensione intimistica. È quel suo perdersi in continue evoluzioni strumentali, sempre interrotte prima che ci si possa prendere confidenza e trasformate in qualcosa di diverso e ancora nuovo.

Sono poi i visual, dove a intervalli regolari, tra la liquidità dei colori psichedelici, trovano forma iridi e pupille sotto le forme più diverse. Ed è, a farti sentire dentro e parte di qualcosa, soprattutto il set raccolto in cui si muove, una comfort zone di chitarre, batterie elettroniche, fiati e sint, come in una cameretta dalla quale ogni tanto sfugge per pochi istanti per disperdere la sua energia e sorridere al pubblico.

Leaving my brain in the sixth dimension
Sacrifice the pain I forgot to mention
Turn out the lights, the dark fills the night
I can see through your eyes

Canta Tash Sultana, in Free mind. E poi, quando meno te lo aspetti, fa partire una base elettronica e dopo la interrompe per fare freestyle, soffiando dentro a un flauto di Pan e di nuovo abbraccia una chitarra acustica suonandola come che Santana levate proprio, mentre un prisma di occhi di sfingi dorate crea un vortice alle sue spalle.

Non ho mai sopportato gli assoli di chitarra, nemmeno ai concerti. Ma i loop di effetti e meduse variopinte e ondeggianti, questa sera, mi hanno ipnotizzata fino a farmene dimenticare.

Ha anche interagito con il suo pubblico a parole, senza tradire un secondo di emozione, con la sicurezza che su quel palco ho già visto ostentare a un Alex Turner allora ventisettenne.

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Tash Sultana Ferrara

E tra un “let me fucking hear you” e un “damn is so hot here” riesco solo a pensare che al suo posto l’unica risposta possibile alla bizzarra idea di costruire in questo forno un castello e una città così bella tutt’attorno, deve essere stata che, a quei tempi, il riscaldamento globale non aveva ancora sortito certi effetti e no, le zanzare non dovevano essersi ancora propagate fino a qui.

Stare a un live di Tash Sultana è un po’ come stare a guardare gli atleti che fanno parkour, non finire mai di stupirsi davanti alle loro evoluzioni, restare increduli di fronte a tanta forza, tanta tecnica e fisicità. Ricominciare a credere che i supereroi esistono ancora e un giorno forse ci salveranno tutti.

Questo è quello che riesco a pensare io, dal mio posticino ricavato tra tanta gente, sopra i ciottoli della piazza, mentre ascolto una versione di Jungle che per potenza e trasporto non è nemmeno minimamente paragonabile a quella che l’ha resa celebre su YouTube

Allora, forse, davvero, la chiave di tutto è quel “they” – anche se preferiremmo un “we” – l’unico modo possibile di definire questo genio è virarlo al plurale, equipararlo a una figura sfaccettata e straripante: la bellezza e la potenza dell’essere giovani e impavidi.

Ma anche la fortuna di portarsi appresso un bagaglio di insegnamenti di cui fare tesoro, senza paura di misurarsi con qualcosa di troppo grande, tanto da scegliere Bob Marley e Erykah Badu come basi per introdurla prima e salutarla poi, in quello che speriamo essere un arrivederci a presto.

Lo stesso saluto con cui mal volentieri ci congediamo da Ferrara Sotto le Stelle, contando su sorprese altrettanto stupefacenti per la prossima edizione.

 

Testo: Elena Bertelli // Photo: Sara Tosi

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