Sharon Van Etten live ad Arti Vive: una “Comeback Kid” capace di rialzarsi

Arti Vive Festival - Soliera (MO) 07.07.2019

matteo-buriani
Tempo di lettura: 5' min
11 July 2019
Review 4 U
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Comeback Kids e KO spettacolari

 

Siamo arrivati tardi a Soliera, perdendo le esibizioni di Any Other e Malihini. Siamo arrivati tardi perché stavamo guardando in differita UFC 239, l’evento sportivo di arti marziali miste (MMA) andato in onda nella notte fra sabato e domenica. Come sempre, abbiamo fatto in modo di non spoilerarci nessun risultato. Come spesso accade, siamo stati premiati dalla totale imprevedibilità degli incontri.

Il più incredibile è stato quello fra Jorge Masvidal e Ben Askren, un attesissimo scontro brawler VS grappler (uno spregiudicato striker contro un maestro del wrestling), conclusosi dopo soli 5 secondi. Masvidal, 34 anni, è il classico lottatore brutto, sporco e cattivo (nel senso che viene dai combattimenti di strada). Un’intera carriera passata a vedersi inevitabilmente sfuggire, sul più bello, l’opportunità di fare un incontro per vincere il titolo. Quasi sempre a causa di deprimenti sconfitte ai punti, che avevano tutto l’aspetto di un pareggio.

Quando l’arbitro ha dato il via, è corso come una furia verso l’avversario. Per un lunghissimo secondo, ogni spettatore ha urlato: “Ma cosa fa?”. Nell’esatto istante in cui Askren si è piegato, quasi istintivamente per un wrestler, per afferrargli le gambe e gettarlo a terra verso un’inevitabile sconfitta sul terreno della lotta libera, Jorge si è lanciato in aria, impattando sul volto dell’avversario con una ginocchiata devastante. KO istantaneo, ogni spettatore ha urlato ancora più forte. L’incontro sarebbe durato 3 secondi, se l’arbitro non fosse stato troppo sorpreso per riuscire a fermarlo velocemente.

 

 

Jorge Masvidal, in tutti questi anni nell’ottagono, è diventato non certo un fenomeno, ma un astuto lettore di situazioni, un lottatore completo, e soprattutto un tizio del quale gli italiani direbbero “mai darlo per morto”. Gli americani, invece, direbbero che è un “Comeback Kid”. Una figura quasi mitologica che viene dall’epica western: il personaggio capace di rialzarsi sempre, dopo una caduta. E ora, cavalcando verso il tramonto della carriera, probabilmente lo attende proprio quell’incontro per il titolo che gli è sempre sfuggito.

Sharon Van Etten, 38 anni, non veniva in Italia da 4, ovvero dal tour di quello che stava cominciando a sembrarci il suo ultimo disco, l’ottimo “Are We There”. Magari il pensiero ha sfiorato più volte anche lei, ma poi, a fine Gennaio 2019, è arrivato “Remind Me Tomorrow”. Il primo singolo è stato appunto “Comeback Kid”, e assieme al video che lo accompagnava ha sconvolto non poco alcuni fan. A un primo ascolto, e a prima vista per quanto riguarda il video, tutto sembrava estremamente fuori luogo: epica da rockstar, look aggressivo, tono sopra le righe. Poi ho capito: Sharon Van Etten ha voluto abbracciare completamente l’imprevedibilità della vita, che ci mette addosso ruoli per i quali pensavamo di non avere alcun talento. Sharon stava tornando a comporre, e in quel momento ha dovuto ammettere a sé stessa di essere un Comeback Kid, non importa quanto poco si sentisse addosso il personaggio: un comeback è un comeback, soprattutto se arriva dopo che tante cose hanno finalmente iniziato a funzionare. Durante l’assenza, infatti, la ragazza che ha saputo raccontare perfettamente le relazioni psicologicamente abusive (per averne subita una in prima persona) ha scelto l’uomo giusto, ha avuto un figlio, ha iniziato a studiare psicologia. Visto così, il video di “Comeback Kid”, in cui si fa proiettare addosso fotografie provenienti da un passato ormai superato, diventa estremamente poetico.

Quasi quanto la risposta che diede su Instagram a una “fan” che dopo averlo visto la accusava con un “you jumped the shark”, aggiungendo che non avrebbe dovuto allontanarsi così tanto dallo stile del passato, macchiandosi della colpa di svendersi a chissà quale diavolo del successo commerciale.

Fulminante counterstrike di Sharon: “You sound like my ex”. KO al primo round.

Quando sale sul palco di Arti Vive, Sharon non sembra affatto un’altra persona, ma emana la forza di un essere umano rinnovato e rinvigorito. Quella stessa femminilità combattiva e ottimista, anche se su uno sfondo apocalittico, che è un po’ la cifra stilistica di tutto “Remind Me Tomorrow”.

Dopo i primi tre pezzi sono già chiarissime due cose: il concerto suona a metà strada fra passato e presente (non ho verificato, ma la formazione della band che l’accompagna ricorda moltissimo quella di 4 anni fa) eppure Sharon da tutta l’impressione di provare un sincero orgoglio nei confronti del suo ultimo lavoro.

(continua sotto)

 

“Jupiter 4”, “Comeback Kid” e “No One’s Easy To Love” sono tre singoli del nuovo album, e quindi potrebbero sembrare il classico “minimo indispensabile” per poi accontentare chi vorrebbe un concerto che rappresenti tutta la sua carriera con calcolata equidistanza, ma vengono interpretati con l’intensità di chi si sente totalmente a proprio agio nel presente. La voce di Sharon avevo dimenticato quanto riuscisse ad essere disarmante dal vivo. O forse lo è diventata ancora di più, ora che è maturata?

La conferma di questa impressione non ci mette molto ad arrivare, perché dopo “One Day” (da “Epic”) e “Tarifa” (da “Are We There”), torniamo dentro a “Remind Me Tomorrow” e ci rimaniamo a lungo. Ormai è evidente: la donna che veste i panni del Comeback Kid ha deciso di presentarci tutto l’ultimo disco, piaccia o meno. Forse non tutto mantiene la stessa intensità dell’inizio del concerto, ma è comunque una prova di forza che conquista.

Abbiamo ormai sentito dal vivo quasi tutto l’album quando arriva “Seventeen”, l’altro singolo, quello in cui avviene un discorso, che sembra quasi da madre a figlia, con la sé stessa diciassettenne. Ma il live aveva ripreso il volo un attimo prima, quando è avvenuto uno scarto che l’ha introdotta perfettamente, facendomi pensare che la scaletta sia stata calcolata con metodica precisione.

La band era uscita dopo “Hands”, lasciandola sola e per la prima volta seduta al pianoforte. La cover che fa venire la pelle d’oca è “Black Boys On Mopeds” di Sinéad O’Connor: semplicemente, “this song resonates on me as a newly mother”.

England’s not the mythical land of Madame George and roses
It’s the home of police who kill black boys on mopeds
And I love my boy and that’s why I’m leaving

“Everytime The Sun Comes Up” e “All I Can” chiudono il set per permettere a Sharon e la band di venire richiamati sul palco dagli applausi del pubblico. A proposito, non ho affatto registrato cali di entusiasmo per i pezzi nuovi rispetto a quelli vecchi: i social sono evidentemente davvero il luogo in cui gli hater di qualcosa possono sentirsi maggioranza tronfia con la vittoria in tasca, per poi incassare colpi devastanti dalla Realtà.

“Who’s in love tonight???”, chiede Sharon a bruciapelo appena rientrata.

(continua sotto)

Ammettiamolo: cos’è questa se non una ginocchiata in faccia a sorpresa, di quelle da KO in 5 secondi?
Le è venuta fuori per caso, o era perfettamente consapevole di star sganciando una bomba sulle coppie presenti, costrette di colpo a interrogarsi sui propri e altrui sentimenti?

“That’s it???”, constatando gli scarsi riflessi nell’alzata di mano. O gli atroci dubbi.
“Well, i had my ups and downs…”.

“I Told You Everything”, che parla del riuscire ad aprirsi a una persona, ma soprattutto “Serpents”, una lucida e feroce presa di coscienza di quanto i rapporti possano essere manipolativi, svelano due poli opposti sentimentali che sono la prova che no, quella ginocchiata non era casuale. Come la scaletta progettata da un’artista che il tempo ha reso lottatrice completa, dotata di uno stile che non diventerà mai completamente ortodosso, e per questo capace di non essere prevedibile.

Anche quando si concede di esserlo, chiudendo con l’unico pezzo di “Remind Me Tomorrow” che ancora non aveva suonato, l’ultimo del disco: “Stay”. C’è qualcosa di nuovo nella vita di Sharon Van Etten, qualcosa che la farà essere un Comeback Kid ogni volta che sentirà quella maledetta voglia di essere un Runaway.

Matteo Buriani

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