PVP – St. Vincent: Los Angeles.

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Tempo di lettura: 2' min
24 October 2017
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Camp, quella reinterpretazione di elementi kitsch in maniera sofisticata, deliberata ma consapevole trasformando la mancanza di stile in stile e critica sociale, mostrando paradossi e ossimori della società dei consumi.

La prima ad analizzare il fenomeno camp fu la grandissima intellettuale Susan Sontag nel saggio del 1964 Notes on Camp collegandola alla cultura queer e dandone una definizione perfetta: « Non è una sensibilità di tipo naturale, se di tali ne esistono. L’essenza del camp, infatti, consiste nell’amore per ciò che è innaturale: l’amore per l’artificiale e per l’esagerato […] Una sensibilità è quasi, ma non del tutto, indescrivibile. Ogni sensibilità che può essere racchiusa nella forma di un sistema, oppure maneggiata con i grezzi mezzi della prova, non è più una sensibilità. Si è concretizzata in un’idea. »

E’ questa la definizione di Camp che sta alla base dell’ultimo singolo di St. Vincent: Los Ageless con chiaro riferimento a Los Angeles, città dove i sogni sono fatti di celluloide e artificio. Altre critiche alla città degli angeli possono trovarsi nei lavori di Kenneth Anger ( come nel romanzo Hollywood Babilonia), nella filmografia di Brian Yuzna (Society, ma anche The Dentist) e non da meno i romanzi di Thomas Pynchon.

Los Ageless è singolo dell’album MASSEDUCATION, uscito il 13 ottobre, e mette in scena, con la regia di Alex Da Corte, artista simbolo del Camp, un tripudio di immagini di una fasullità deliziosa, con tinte monocromatiche a vernice spalmate su tutta la scena dove risalta solo St. Vincent, artificiale ma organica, austera ma casalinga.

Movimenti misurati, reiterati ed artificiali su riproduzioni monocromatiche di elementi di arredo ed apparecchiature elettroniche vicine alla vision del collettivo Cracking Art. Los Ageless si rifà anche al mito consolidato dell’abuso di chirurgia plastica nella metropoli della West Coast.

Le infermiere che tirano la pelle di St. Vincent in maniera grottesca durante la sua performance, sono chiaro omaggio a quel visionario capolavoro distopico che fu Brazil di Terry Gilliam, per non parlare dei fanatici di chirurgia plastica nello scenario post apocalittico di Fuga da Los Angeles di John Carpenter mentre il pastello riprende il primo Tim Burton, quello della fasulla e ipocrita cittadina dove è ambientato Edward Mani di Forbice.

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Del resto Camp e chirurgia plastica estrema e continuata vanno a braccetto in quanto, basandosi sulla definizione di Susan Sontag, si va a indurre attrazione per qualcosa di artificiale ed esagerato. Il camp serve a portare alla luce le sfaccettature grottesche della cultura dell’apparire, fatta di corpi talmente smussati e levigati da apparire privi di orifizi o umanità, una visione del bello tipicamente indotta dai mass media, non a caso il nuovo album di St. Vincent è intitolato MASSEDUCATION (che suona molto come Miseducation, ovvero pessima educazione, solitamente dettata da un pessimo ambiente o l’influenza dei media) da cui è tratto un altro singolo con annesso videoclip, sempre a cura di Da Corte e con uno stile analogo: New York, dove si possono vedere tematiche vicine a Soho e a Broadway.

Attraverso la sublimazione di Da Corte e la voce di St. Vincent, Los Ageless e lo speculare New York mettono in scena due visioni di un’america, o meglio di un’umanità contraddittoria, fasulla e grottesca nella sua estetica pacchiana che sgretola etica e contenuti in favore di qualcosa di facilmente fruibile ed appetibile ma che, alla lunga risulta dannosa ed indigesta, come tutte le produzioni massificate. (Un ringraziamento speciale a Davide Giorgi)

 

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