PVP – Rob Zombie: Dragula.

md-romero
Tempo di lettura: 4' min
23 May 2017
POLPETTA VIDEO PASSION

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L’immaginario dell’american dream per come viene concepito oggi nasce in seno all’atomic Age, il periodo fra il dopoguerra e la rivoluzione culturale del 68 in cui la perfezione americana era rappresentata dalla villetta a schiera, dalla Plymouth sul vialetto, da elettrodomestici, da mogli massaie madri di figli sani e morigerati e soprattutto da grandi sorrisoni smaglianti in un tripudio di consumismo e supremazia bianca. Tutto questo idillio serve principalmente per nascondere il terrore, la paranoia e la xenofobia dilagante con cui attraverso notizie, cinema e carta stampata, venivano nutrite le parti più sensibili della mente dei cittadini della autoproclamata più grande nazione al mondo.

Il terrore dell’olocausto atomico, la minaccia del comunismo e più in generale il terrore di apocalisse, devastazione e soprattutto invasione era ciò che teneva in riga l’America. In questo clima si sono iniziate a creare valvole di sfogo. Nel cinema Russ Meyers ha combattuto la morigeratezza con una quantità gargantuesca di tette e sesso softcore, H.G. Lewis ha messo in scena il gore più efferato dai tempi del Grand Guignol e non mancano certo esempi di sfruttamento della paura da parte di Roger Corman che dalle bande di teppisti a mostri atomici dallo spazio profondo ha riempito i parcheggi di Drive In per un’intera era. Queste sono le origini primigenie del cinema d’Exploitation.

Un grande calderone di generi in cui gli istinti più bassi dell’animo umano venivano sfruttati. Il desiderio intrinseco di diventare Voyeurs di quell’umanità pervertita e istintiva che l’America bene andava irrimediabilmente a condannare fu motore e ragione di successo di un mondo cinematografico che sopravvive tutt’ora sventolando un gran bel dito medio a Hollywood, agli Academy e ai critici. Dall’Exploitation e dall’Atomic Age Rob Zombie, talentuosa rockstar e regista di culto, trae linfa vitale per i suoi lavori fin dal suo debutto con la band White Zombies ( nome tratto dall’omonimo film del 1932 dei fratelli Halperin) per creare una visione deformata dell’American Dream che gioca sull’inquietante staticità fasulla di questa supposta perfezione, ritrasformando l’orrore divenuto Kitsch fruibile da bambini (La festa di Halloween, il diavolo con corna e forcone ecc…) in orrore perverso che trae origine proprio dallo svilimento nel Kitsch.

Uno dei singoli più famosi di Rob Zombie nella sua carriera solista, Dragula, non poteva non contenere questi elementi alla cultura pop dell’Atomic Age. Partendo solo dal titolo, nome dell’automobile della famiglia Munsters dell’omonima sitcom dei primi anni 60 e dal campionamento dell’intro, (Superstition, Fear and Jelousy recitata da Christopher Lee) proveniente dal film Horror Hotel si possono vedere sintetizzate le tematiche di Rob Zombie ma l’influenza non si ferma qui.

Il Videoclip mostra il buon Rob Zombie, in tutta la sua grandiosità cadaverica, guidare il Munster Koach Dragula ( o meglio una sua copia) assieme ad un branco di personaggi in costumi da diavolo mentre sullo sfondo scorrono esplosioni atomiche e scene da film horror classici come Dr. Jekyll and Mr. Hyde e in maniera prominente il robot Killer di The Phantom Creeps.

In alcuni Shots ai tamburi possiamo vedere figure robotiche umanoidi, primo prototipo di quelli che diventeranno, ne La Casa dei Mille Corpi, il deforme Earl Firefly, l’assistente armato del Dottor Satana. Movimenti di camera frenetici e sconnessi, uso di campionamenti video e giochi con il colouring saranno la base per il primo lungometraggio della Rockstar che rimette in scena il Munster Koach inserendo clip della sitcom alla Tv della famiglia Firefly ottenendo in un colpo solo un’autocelebrazione e un omaggio.

Il videoclip fu un grandioso successo entrando nei must di MTV dal 1998, anno di uscita del singolo, in poi e portò a ribalta l’ex frontman dei White Zombies per la sua originalità e versatilità che permisero al mostro dello shock rock di curare il segmento dell’allucinazione nel film di Beavis & Butthead, ideare una horror ride agli Universal Studios ed iniziare la sua carriera da regista, che fra adorazioni e critiche continua in maniera profondamente coerente con la sua visione stilistica.

Una piccola digressione per i più giovani. La Sitcom The Munster (in Italia I Mostri) dove appare il Dragula Munster Koach, mette in scena una famiglia di mostri con Nonno vampiro (con l’abito di Bela Lugosi), Padre Frankenstein, moglie vampira in pieno stile Bride of Frankenstein figlio licantropo e figlia normalissima trattata come la diversa di famiglia.

La sitcom, in onda sulla CBS, era in netta rivalità con la più famosa Famiglia Addams, in onda sulla ABC che non ha bisogno di presentazioni. Similitudini ovvie a parte, le due serie si differenziano per due ragioni: la prima è che i Munster erano creature soprannaturali, gli Addams erano eccentrici macabri personaggi e la seconda e più importante è che se gli Addams erano ricchi possidenti terrieri e industriali, I Munster erano una tipica famiglia borghese, in cui spesso c’era la necessità di guadagnare parecchi soldi. Da rivedere assolutamente l’episodio in cui Nonno Munster investe in Uranio maneggiando senza troppi problemi pepite del radioattivo materiale parlando dei lauti guadagni che porterà questo investimento dimostrando agli spettatori una (non esistente) innocuità.

Sebbene le serie si siano vicendevolmente fatte causa per plagio, scatenando una delle prime rivalità fra fandom a memoria di televisione, entrambe vennero cancellate nel 1966, in sorprendente coincidenza con la messa in onda della soap opera Dark Shadows che per questioni di ascolti dopo qualche tempo iniziò a far uso di massicci elementi soprannaturali fra cui il mitico antenato vampiro Barnaba Collins che torna in vita all’episodio 211. Uno dei momenti più epici della televisione.

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