Focus On Nicolas Jaar. Aspettando Club2Club 2017.

polpetta
Tempo di lettura: 6' min
27 June 2017
News, Save The Date

Sarà fra gli headliner dei più importanti festival d’Europa estivi, ma soprattutto sarà nuovamente fra gli headliner della prossima edizione del C2C 2017, vale quindi la pena scoprire per filo e per segno chi è l’artista dietro al nome di Nicolas Jaar.

Nato a New York (10 gennaio 1990), ma trasferitosi a Santiago da giovanissimo, Nicolas ha cominciato a produrre i primi beat all’età di 14 anni. Prodigio musicale, a 17 anni pubblicava l’album “The student EP” per Wolf & Lamb, suscitando parole di stima anche da parte di Seth Troxler, che lo ha definito “uno degli astri nascenti del clubbing”. A 18 anni approda a Berlino, e fortunatamente per chi lo ascolta, dà libero sfogo alla sua creatività.

Nonostante i suoi ventisette anni oggi, Nicolas Jaar è ormai riconosciuto come un esponente di primo piano della moderna scena elettronica mondiale; ruolo conquistato grazie a due album, l’inatteso esordio synth-pop-jazz “Space Is Only Noise” (2011) e il sorprendente “Pomegranates“, colonna sonora di “Sayat Nova”, film del 1968 di Sergej Iosifovič Paradžanov, un’ ulteriore incursione nel cinema con la colonna sonora di Deephan (film di Jacques Audiard, Palma d’Oro a Cannes nel 2015) mettono tutte in  mostra un musicista dotato, nonostante la sua giovanissima età, di una maturità e di una cultura musicale insospettabile.

Nicolas Jaar è un artista dedito ad un articolato mix di elettronica minimale, elettro-acustica, che può trovare termini di paragone in Ricardo Villalobos e nei Telefon Tel Aviv, con in più qualche elemento Jazz. Un ruolo di primaria importanza, che ha poi il pregio di far suonare post-moderna la sua musica, è che Jaar sfrutta in contesti moderni se non sperimentali una strumentazione spesso classica, in primis, il suo fido pianoforte.

Ormai non ha più senso chiamarlo enfant prodige o wunderkind.
Senza troppi giri di parole Nicolas Jaar è uno dei protagonisti, per qualità, duttilità e prolificità, dell’ultima ondata elettronica, quella iniziata nella seconda decade di questo millennio. In particolare dell’elettronica più nobile, contaminata con il jazz, la classica, la psichedelia, senza disdegnare le finalità motorie ed edonistiche dell’esperienza. Dopo tutto è sempre figlio del grande artista cileno Alfredo Jaar, Nicolas .

more about productions:

Space Is Only Noise (2011)
E’ una questione d’atmosfera, di feeling, di eleganza.
Evocativo ed elegante, Jaar trova in questo album d’esordio equilibri disorientanti fra passato e presente, sperimentale e ballabile, Jazz e House. Il cileno Villalobos si intravede nelle pieghe del sound, ed in genere si avverte l’influenza della compagine elettro-acustica, ma la sintesi è efficace ed aggiunta di Jazz ed uno marcato spirito per la sperimentazione di commistioni azzardate.

Pomegranates (2015)
Personale colonna sonora del film risalente al 1968 “Sayat Nova”, di Sergej Iosifovič Paradžanov.
Venti frammenti che suonano come un disegno sonoro unico, impegnato a seguire la pellicola. Momenti astratti come Garden Of Eden, robotico-meccanico-poetici come Construction, cacofonici e glitchy come Pass The Time o sinfonie caotiche ed eleganti allo stesso tempo come Survival.
Il canto alieno dei synth in Near Death, le scorie radioattive di Beasts Of This Earth e la sensualità di Folie A Deux, senza dimenticare la magnifica sinfonia ultraterrena di Three Windows, sono tutte diverse facce del compositore Jaar, astruso e toccante. Il carillon ipnotico di Tourists, la Techno devastante e deflagrata di Club Kapital e infine Spirit, liturgica, e Mus, sonata pianistica malinconica, chiudono un viaggio che aggiorna le epopee totali dei Faust.

SIRENS (2016)
Il terzo Lp – “Sirens” – in certi momenti sembra persino superare le già ottime aspettative e ci consegna un musicista, ormai pienamente maturo, alle prese col suo passato, con quello della sua famiglia e della sua nazione, il Cile, dal quale fuggì da bambino insieme ai familiari a causa della sanguinosa dittatura di Pinochet.
“Sirens” è un flusso continuo di idee, di ricordi autobiografici, di storia personale e storia nazionale (“Ho trovato ossa rotte sui lati della strada”), di sentimenti e di paure (i ricordi dei bambini arrestati insieme ai genitori, divenuti poi tutti “desaparecidos”), di dialoghi tra padre e figlio (“Abbiamo creato un mostro”), di lotte di popoli represse nel sangue e di vittorie tradite.
La frase presente nella copertina (“Abbiamo già detto no ma il sì è ovunque”) è emblematica; riferita al plebiscito del 1988 con cui il popolo cileno disse no alla riconferma di Pinochet, indica quanto possa essere fragile e temporanea la conquista della libertà, in quanto i pericoli di un ritorno alla dittatura sono ovunque.

Jaar conferma la sua importanza nella scena odierna grazie a due motivi; riesce, partendo da esperienze personali, a essere attuale e lanciare un monito ai contemporanei (quello che è successo a lui si ripeterà); inoltre “Sirens”, con la sua grande varietà di influenze molto diverse rispetto i suoi primi due album (post-punk, new wave, ambient, doo-wop), mostra un musicista dotato di una capacità di rinnovamento invidiabile.
Fin dall’iniziale “Killing Time” si intuisce quanto Nicolas Jaar sia fondamentalmente diverso e atipico rispetto la sua generazione; strutture non convenzionali, rumori di sottofondo, rapidi flussi di note che si interrompono in scie elettroniche soppiantate da delicate note di piano; infine, un canto malinconico e soffuso.
Killing Time” è già un brano senza tempo, in quanto, pur descrivendo una visione personale del proprio passato vissuto in costante pericolo, i vetri rotti e i proiettili sparati in sotto fondo iniziali sono le vite spezzate e stroncate della sua terra, suona la condizione comune di milioni di uomini, di generazioni passate, presenti e future.
Quello che è successo alla famiglia di Jaar è già accaduto infinite volte, si ripete oggi tutti i giorni e si ripeterà in futuro.
Il canto diventa sempre più etereo comandato da un vento leggero, impercettibile,  sussurrato, una voce soave quasi angelia, quasi inconsistente e in contraddizione con la rabbia e la paura che avrebbe potuto produrre urla e violenza. La denuncia di Jaar non è rabbiosa, non è un inutile urlo nel deserto; è una riflessione sincera e matura sull’animo umano che supera i confini nazionali e personali.
The Governor” ha un andamento new wave con aspetti decisamente più europei che cileni o americani; è una corsa contro il tempo e la paura di suoni taglienti come lame nelle orecchie con chicca sulla torta, il sax sofferto finale riesce a essere allo stesso bizzarro e straziante.
No” mostra gli aspetti più latini di Jaar e descrive i dialoghi tra lui bambino e il padre. I ritmi latini scompaiono del tutto in “Three Sides Of Nazareth“, il brano più potente di “Sirens”; l’elettronica ossessiva ricorda l’energia post-punk o la new wave più depressa, qui Jaar alterna inglese e spagnolo, si completano e si tengono stretti l’un l’altro creando un’avveniristica ed emozionante architettura musicale, è il brano più incalzante ed erotico del disco. Un brano che da solo, ascoltato in determinati contesti e la giusta compagnia, vale più di qualsiasi afrodisiaco o campagna (non) in stile fertility day.

Il finale “History Lesson” spiazza del tutto; c’è da chiedersi il perché della scelta di chiudere con un brano doo-wop con sottofondo elettronico. Ma i testi crudi e sintetici spiegano tutto, quasi tutto, il bambino indemoniato in stile Esorcita da un input adrenalinico in giusta dose; Jaar usa i ritmi di una musica leggera e spensierata per veicolare messaggi di cupa rassegnazione, in ricordo di chi non ce l’ha fatta, di chi non è sopravvissuto; un certo Frank Zappa (uno dei migliori chitarristi della storia), circa mezzo secolo fa, aveva fatto cose molto simili, in tempi e contesti assolutamente differenti.

Insomma Sirens è un diario segreto autobiografico, che tramite un flusso di coscienza musicale ripercorre il doloroso passato dell’autore, fuggito dal Cile in tenera età.
Le composizioni tutte di pregevole fattura e molto eterogenee. Il suono lentamente fuoriesce dal silenzio, unendo manipolazioni elettroniche, canto malinconico, synth sognante e percussioni atmosferiche.
Difficile non rimanere disorientati, visto che Jaar è a suo agio in mondi sonori estremamente diversi, unisce fruibilità e ricerca, gestisce con mirabile adattabilità il politico e il ballabile, l’atmosferico e l’aggressivo, il lugubre e il trasognato. Una capacità espressiva che ha pochi eguali, un’opera elegante e raffinata, che lo conferma artista completo nonostante la sua breve carriera.

Anima fatta di musica corpo da usare come un étoile:

Sarebbe importante e confortante se per ogni Garrix, Kygo, Skrillex o Hardwell di turno ci fosse un coetaneo ventenne pronto a seguire il profilo artistico di Nicolas Jaar, (non si fanno paragoni ovviamente con gli artisti citati, sfere musicali totalmente diverse).
Al momento nella sua generazione non sembra essere così.
Jaar è il giovane sovrano di una remota e felice isola musicale.
Un’isola dotata di un autonomo e funzionale ecosistema, nel quale è possibile trovare tutto il necessario per soddisfare le molteplici necessità dell’anima e del corpo.
Il consiglio, questa volta, è quello di non tentare di resistere come fece Ulisse ma di lasciarsi andare, di inebriarsi dei canti, delle melodie e delle pulsioni evocate da Jaar e dalle sue sirene. Non ci saranno naufragi e rovina ad attendervi ma un luogo magico nel quale l’unico dogma sarà una delle più celebri frasi di Pina Bausch (Tra le più importanti e note coreografe mondiali): “Dance, dance, otherwise we are lost”.

Miei riferimenti da piccolo fanz che sono:

Miei preferitos:

Ci si vede a Torino.

1-7 Novembre 2017http://clubtoclub.it/it/

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