“Svegliare la nostra coscienza musicale”

polpetta
Tempo di lettura: 3' min
14 March 2017
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“Fare musica richiede inevitabilmente un punto di vista: non un punto di vista ostinato e puramente soggettivo, bensì basato sul rispetto totale delle informazioni […] e su una comprensione dell’interdipendenza di tutti gli elementi costitutivi della musica: armonia, melodia, ritmo, volume e velocità”.

Questo è un breve passo di un volume pubblicato da un grande esperto di musica, nonché musicista: stiamo parlando di Daniel Barenboim, e nello specifico del libro “La musica sveglia il tempo”.

Il mio obiettivo tramite questa personalità e questo scritto, è quello di mettere in luce dei punti cardine in riferimento alla musica e confrontarli con il concetto di musica attuale.
L’autore è un pianista e direttore d’orchestra, argentino israeliano. Per capire l’importanza e la grandezza di questa figura basta fare un attimo luce sulla sua storia: a soli dieci anni debutta come pianista a Vienna, poi a Roma, Parigi, Londra e New York negli anni successivi. Dal 1975 al 1989 è il Direttore musicale dell’Orchestre de Paris, dal ’91 al 2006 Direttore musicale della Chicago Symphony Orchestra. Nell’autunno del 2000 la Staatskapelle di Berlino lo ha eletto come Direttore principale a vita.
Una carriera brillante, non c’è che dire. Uno degli eventi di maggiore caratura avviene nel 2007, quando insieme ad Edward Said, forma la West-Eastern Divan Orchestra, formata da giovani musicisti di Israele e degli altri paesi arabi. Un’opera monumentale se si pensa all’attuale situazione in medio Oriente.
Con “La musica sveglia il tempo”, Daniel Barenboim specifica che nel suo discorso non si rivolge né ai musicisti, tantomeno ai non musicisti, quantopiù a tutti coloro che hanno interesse nel capire l’interdipendenza che intercorre tra musica e vita.
A mio avviso una sua frase cruciale è “sono convinto che sviluppare l’intelligenza dell’orecchio sia una necessità fondamentale”.

Un concetto molto chiaro, che va decisamente in controtendenza rispetto al modo attuale di fruire della musica.
Certo, le eccezioni sono all’ordine del giorno, ma maestri quali Bach, Wagner o Puccini, hanno rivoluzionato la musica, e sopratutto il modo di intendere la musica, secoli e secoli fa, per fare un esempio.
Un punto molto importante, se non fondamentale a mio avviso, è appunto il modo in cui si fruisce della musica.
Oggi siamo letteralmente bombardati da servizi streaming, file compressi, e così via, ma mettere le cuffie nelle orecchie mentre si va a lavoro o quello e quell’altro, sono gesti che fanno parte della nostra quotidianeità.
Molto spesso la televisione, ma anche Internet, offrono informazioni senza dare tempo sufficiente per riflettere e comprendere. Per non parlare poi del modo in cui, storicamente parlando grazie alla musica, o comunque alla cultura in generale, possano essere deviati i pensieri delle masse. Hitler e Goebbels per citarne due.

La libertà di pensiero e di interpretazione. Questi sconosciuti aggiungerei.
Nella nostra epoca siamo sommersi da tonnellate di musica giornalmente, la quale ritengo sia per la maggior parte interessante, ma noi, l’uomo stesso ha modo di sviluppare un proprio io tramite la musica, o perlomeno di miglioralo, di mutarlo, quantomeno di mettersi in discussione tramite la musica stessa?
Certo, la possibiltà c’è.
Sono i tempi che corrono, letteralmente. Ed io personalmente credo che sta a noi, esclusivamente a noi capire la differenza tra ascoltare e sentire.
Barenboim dedica addirittura un capitolo intero nel suo libro a questa distinzione.
Riusciamo prima di tutto a comprendere quale differenza c’è tra i due termini?
Mettendo da parte le definizioni tecniche, che pure non son comunque da meno, la differenza sostanziale è che chi ascolta deve porre attenzione alle leggi del suono, letteralmente. L’ascoltatore deve per così dire, modulare la propria coscienza per ricevere esattamente il materiale musicale.

“Si può sentire e non ascoltare, così come guardare e non vedere” questo scrive Barenboim.

Analogamente comunque la musica non basta sentirla, bisogna ascoltarla per comprendere la narrazione musicale. L’ascolto di conseguenza è il sentire accompagnato dal proprio pensiero. Accendersi per così dire. Vita.
Un paradosso che mette in luce l’autore è questo: “…la musica ha una natura ambigua”.
Fondamentalmente vuole porre l’accento sulla resposabilità umana in relazione ad un brano musicale ed a tutto ciò che comporta: ovvero rendere materia di studio o perlomeno di interesse una musica, al pari di un libro, per capirne il significato. Per tirarne fuori le emozioni. Ognuno di noi diverse, l’uno dall’altro.
Concludo trattando la “sensibilità musicale”.
L’autore scrive: “la sensibilità musicale potrebbe essere definita come un’inclinazione istintiva o intuitiva al suono come mezzo di espressione. La sensibilità musicale tuttavia è insufficiente, a meno che non sia unita al pensiero.
Anche qui ci troviamo ad analizzare un concetto decisamente chiaro, ma attuale, e molto spesso non considerato.
A mio parere bisognerebbe semplicemente valutare, o meglio rivalutare la musica, a partire dall’ascolto, inteso proprio come ascolto per fare in modo di rivalutare se stessi, le proprie scelte, e la propria vita.

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