Il Dottor Divago – ALRIGHT ALRIGHT ALRIGHT. Mattew McConaughey, il divo che spalava il letame.

elia-morra
Tempo di lettura: 4' min
14 October 2015
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Avete presente quelli che dicono: “Ma gli attori americani non li puoi giudicare guardando i loro film doppiati”. Sono gli amici antipatici e radical chic, ma hanno assolutamente ragione.
Infatti, non appena mi sono trovato a guardare un Jhonny Depp con la sua recitazione farfugliata e il suo tono monocorde, le sue espressioni standard e il suo fare da “guardatemi sono imprevedibile” ho rimpianto immensamente il doppiaggio di Riccardo Rossi. Riccardo che quando lo ascolti nelle interviste ti rendi conto di aver amato molto più lui di Depp (anche quando parla con l’accento di Ladina). Riccardo che fino a quel momento era riuscito a farmi credere in Jhonny. Ma erano tutte menzogne.

Credevo che nulla mi avrebbe mai smontato Jhonny Depp, non credevo fosse possibile… sarebbe stato come rivalutare la tua rockstar preferita per renderti conto che dopotutto è solo un cazzone tossico incapace e stonato. Ma non ho voglia adesso di mettermi a parlare di Pete Doherty.
La causa del mio risanamento è stato un film in lingua originale (con sottotitoli) “The Rum Diary – Cronache di una passione ” diretto da Bruce Robinson basato sul romanzo autobiografico di Hunter S. Thompson intitolato appunto “Cronache del rum”.
A prescindere dalla “figaggine” dei suoi personaggi, il metodo utilizzato da Depp è da sempre lo stesso.
Ha trovato la formula perfetta, come gli 883. Il problema è che(come gli 883) crescendo lo trovi fittizio e sopravvalutato.
La recitazione di Depp è stucchevole e stereotipata a causa delle sue “faccine” ovvero quelle sue espressioni da uomo stralunato che l’hanno reso con il tempo: il personaggio stramboide standard.

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Ci sono molti attori che hanno questa maledizione. Restano intrappolati, loro malgrado, in una caratterizzazione che gli ha donato la popolarità; non se ne liberano più perché vengono scelti e scritturati, con alcune varianti, sempre per lo stesso ruolo.
La cosa buffa è che quegli attori che invece restano intrappolati nella loro personalità e non nel loro personaggio diventano attori buoni e duraturi, e molto spesso sono attori ai quali non daremo mai una lira al loro esordio.
Matthew McConaughey ad esempio ha avuto un evoluzione proprio di questo tipo.
Comincia sul set facendo la parte del belloccio in commediole insipide e banali (una su tutte “Prima o poi ti sposo” con J.Lo), ma con il tempo ha imparato ad affinare quelle caratteristiche, che lo rendono inevitabilmente persona e non solo personaggio. Un uomo abituato a coltivare la terra è un uomo abituato a coltivare se stesso.
Saranno le sue umili origini del sud? Matthew nasce a Uvalde in Texas, una ridente cittadina dal forte fermento culturale ed artistico, non che città di grande bellezza architettonica e ricca di intrattenimento (si, c’è del sarcasmo,come potete dedurre da una delle immagini gongolate come Uvalde landscape).

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In un posto del genere se non vuoi diventare un commesso di LIQUOR&GUNS devi fare di tutto per fuggire, anche accettare ruoli per filmetti del cazzo nonostante la tua innata bravura.
L’Actor Studio ha formato attori del calibro di De Niro, Pacino, Meryl Streep, che sono senza ombra di dubbio i grandi predatori della savana holliwoodiana, quelli che non solo ingrassano e dimagriscono a comando ma sono in possesso di personalità talmente grosse che al termine delle riprese dei film non sono loro a restare con addosso qualcosa del loro personaggio (come la matita kajal sotto gli occhi di Jhonny Depp dopo i Pirati dei Caraibi) ma è il loro personaggio a non riuscire più a smarcarsi dall’attore.
Anche questi attori rimangono “sempre se stessi” nel corso della loro carriera, nei loro film utilizzano i propri strumenti emotivi e di conseguenza si espongono per ciò che sono veramente.
Matthew McConaughey non ha frequentato l’Actor Studio, anzi, con grandi probabilità mentre gli altri studiavano il metodo Stanislavskij lui in quegli anni si trovava in Australia a spalare letame e lavorare nelle fattorie, formazione che gli ha fatto altrettanto bene a quanto pare, e che gli ha permesso di cominciare a considerarsi un vero attore andando oltre quella prima battuta di tre parole: “Alright Alright Alright”

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True Detective, The Wolf of Wall Street, Dallas Buyers Club.

Adesso lo stanno tutti idolatrando, grazie  agli innumerevoli successi ed ai premi della critica, ma sul nostro bifolco Texano prima pesavano diversi pregiudizi, ovvero quello di essere il classico attore belloccio stereotipato che non vede l’ora di togliersi la t-shirt per mostrare al mondo la definizione dei suoi addominali con quella camminata da gringo e la faccia da schiaffi.
Ma è con “Killer Joe “di Friedkin che la percezione del pubblico e degli addetti ai lavori (scettici al suo esordio) è mutata, e non soltanto quella. McConaughey ha cambiato il suo approccio alla recitazione ed ha devotamente sposato la causa della mutazione fisica (e non più alla ricerca dell’addominale scolpito, ma più della costola in vista) che lo ha portato ad affinare la tanto agognata immedesimazione totale nel personaggio.

https://www.youtube.com/watch?v=9oX2xFo7JA4

La cosa buffa della quale non abbiamo minimamente percezione ascoltandolo recitare doppiato da Adriano Giannini, è in realtà quanto risulti macchiettistico il suo accento del sud, la sua parlata con la “s“ sibillina e i modi di dire da bifolco Texano.
Jim Carrey ne fa un imitazione splendida.

Questa volta avendolo ascoltato fin da subito recitare con la sua vera voce, non avrò nessun tipo di brutta sorpresa.

 

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