La sensibilità, nel più ampio dei suoi significati, è in grado di racchiudere la capacità di una mente di individuare il più ampio spettro di sensazioni, emozioni e messaggi possibili, celati dietro il mezzo attraverso il quale esse stesse vengono rappresentate.
Quanto appena citato ritrae noi in questo momento, mentre osserviamo le foto in oggetto.
La nostra sensibilità viene accarezzata delicatamente dagli scatti di una persona che, ovviamente, non cerca altro che porsi nel lato opposto rispetto al nostro, ovvero quello in cui la sensibilità non è vista in maniera analitica, ma bensì propositiva.
Stiamo parlando della polimorfa Francesca Magnani, padovana nel sangue ma newyorkese d’adozione.
Docente di Italiano, scrittrice e giornalista, fotografa freelance ed insegnate di yoga.
Studi classici e letterari caratterizzano la sua formazione.
Ha scritto per numerose testate nazionali (ed internazionali) di sé e delle sue passioni, perseverando nella ricerca di un proprio messaggio verbale, stando comunque lontana dalle parole scritte.
Frequentando un corso dedicato alla stampa fotografica a Manhattan, scopre la passione per la fotografia e per quegli ambienti oscuri dove da un momento all’altro appaiono e scompaiono fotogrammi.
Veloci, come gli stessi scatti su cui lavora nel 50% della propria giornata.
Ed è qui che emerge la necessità di sviluppare un cammino fotografico basato su quella sensibilità propositiva di cui si parlava poc’anzi.
La capacità di esprimere la propria ammirazione nei confronti di ciò in cui ci si imbatte, è rappresentata da uno scatto tecnicamente perfetto, o piuttosto dalla capacità di riuscire ad immortalare tanti piccoli segnali, gesti e smorfie, in grado di rappresentare contemporaneamente stati d’animo e stralci di storia del soggetto?
Questo non lo sappiamo.
Siamo comunque certi che l’esplorazione dell’essere umano attraverso la fotografia assume questa volta dei connotati differenti rispetto al solito, soprattutto quando emergono in maniera lampante tutti quei dettagli in grado di sviluppare un senso di vicinanza alla faccia rappresentata in primo piano.
Come se invece che raccontarci una storia di perfetti sconosciuti, venisse raccontata quella che riguarda una persona molto vicina a noi, disinibendoci da tutti i limiti che la “non appartenenza” porta con sè.
A Torino, in occasione di Jazz Re:Found, abbiamo avuto la fortuna di conoscerla e condividere con lei parte della sua idea.
I soggetti ritratti nei suoi scatti rappresentano spesso scene di vita quotidiana e, come i bravi freelance sanno fare, intere vite pronte ad essere raccontate in tutta la loro complessità.
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